di Daniele Carissimi
La disciplina del sottoprodotto ormai esiste da decenni, e con essa la ratio che le è sottesa, ossia quella di scongiurare la produzione di rifiuti mantenendo all’interno del ciclo produttivo il più a lungo possibile i beni, ferma restando la tutela della salute e dell’ambiente ma, nonostante ciò, troppo spesso è essa stessa a rappresentare un limite alla sua applicazione, a tarparle le ali.
Ne è un esempio il caso dell’applicazione di tale disciplina ai materiali esitanti dall’attività di lavanoloindustriale, da cui esitano in via continuativa materie prime (come il cotone) o semilavorati (come i capisporchi) che sino ad oggi non è stato agilmente possibile qualificare come sottoprodotti in ragione della loro provenienza da attività di servizi, ossia da attività ritenute da molti non riconducibili al concetto di “processo di produzione” richiamato all’art. 184-bis TUA.
Grazie ai chiarimenti forniti dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica in risposta all’interpello presentato lo scorso luglio da Confindustria, un’interpretazione estensiva dei concetti sopra ricordati volta ad includere anche i materiali esitanti da attività di servizi sembra tuttavia ora possibile. Scelta che ha raccolto il plauso degli operatori del settore che, nonostante il coacervo di nozioni e definizioni sul sottoprodotto che col passare del tempo sono andate stratificandosi, po
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