di Daniele Carissimi
I temi ambientali, sociali e di governance stanno negli ultimi tempi diventando sempre più centrali nel dibattito interno al mondo della finanza. Sempre più spesso, infatti, sentiamo parlare di finanza green, di rendicontazione di sostenibilità e di fattori ESG quali parametri rilevanti all’interno delle decisioni di investimento e nell’allocazione del capitale.
Le organizzazioni e i fondi di investimento attribuiscono oggi più che in passato maggior valore a tali aspetti per ragioni reputazionali, per avere accesso ad incentivi e strumenti finanziari di sostegno vincolati alla transizione green, oltre che come risposta ad un mercato sempre più sensibile a tali temi, mentre gli investitori prediligono attori del mercato interessati a tali questioni riponendo in questi ultimi una fiducia maggiore rispetto a parametri prettamente economici.
Ecco che allora il giudizio attribuito ad un’organizzazione attraverso una dichiarazione o una certificazione è tale da orientare significativamente le scelte degli investitori, ragion per cui negli ultimi tempi è emersa con forza la necessità di fornire rating ESG rispondenti a parametri oggettivi ed omogenei, che consentano di misurare e confrontare le organizzazioni e valutarne le prestazioni.
Tale esigenza si è scontrata negli ultimi tempi con la mancanza di una disciplina comune della materia, a cui tuttavia l’Unione europea sta cominciando a dare risposte costruendo un quadro regolatorio puntuale e condiviso a partire dalla definizione di un linguaggio comune e l’individuazione di una definizione chiara di ciò che è sostenibile