Spedizioni rifiuti: il restyling normativo valorizza – finalmente – l’end of waste

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di Antonio Mogavero

  1. Introduzione

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’UE – in data 30 aprile 2024 – l’atteso restyling del regolamento n. 1013/2006 (Waste Shipments Regulation), ossia la norma che istituisce le procedure e i regimi di controllo per le spedizioni di rifiuti in funzione dell’origine, della destinazione e dell’itinerario di spedizione, del tipo di rifiuti spediti e del tipo di trattamento da applicare ai rifiuti nel luogo di destinazione che sarà in vigore a partire dal 21 maggio 2026

Sono molti gli obiettivi cui mira tale intervento, su tutti si citano la riduzione delle spedizioni di rifiuti problematici verso paesi “extra UE”, il miglioramento del controllo dell’applicazione ed il contrasto alle spedizioni illegali.

Tuttavia, è indubbio che particolare attenzione deve essere rivolta a quelle modifiche sostanziali dirette ad aggiornare le procedure di spedizione per conseguire gli obiettivi del Green Deal europeo e del nuovo piano d’azione dell’economia circolare.

Invero, le direttive del cd. “pacchetto del 2018”[1] hanno tracciato il passaggio da un’economia lineare ad una circolare, prendendo coscienza che ci si doveva concentrare sull’intero ciclo di vita dei prodotti, riducendo la produzione dei rifiuti e puntando al riutilizzo nel ciclo produttivo per garantire ulteriore valore[2].

Tra i pilastri su cui fonda l’economia circolare, da intendersi, quindi, come un sistema in cui i prodotti conservano il loro valore il più a lungo possibile, vi è l’end of waste (cessazione della qualifica di rifiuto), un procedimento mediante il quale un rifiuto, sottoposto ad un’operazione di recupero o riciclaggio, perde tale qualifica per acquisire quella di prodotto.

È proprio sulla gestione dei materiali end of waste che si è registrato un “cortocircuito” tra la normativa generale sulla gestione dei rifiuti, ormai proiettata a considerare il rifiuto come una risorsa, ed il regolamento WSR, sotto alcuni punti di vista ancora ancorato alla concezione di rifiuto del 2006.

Ebbene, il recente intervento normativo mira proprio a superare il suddetto disallineamento, così da dissipare i dubbi e le criticità sulla gestione dei materiali end of waste al di fuori dei confini nazionali, non compromettendo – di fatto – la transizione verso un’economia circolare.

Il presente contributo, quindi, partendo dall’analisi delle contraddizioni e delle ambiguità del precedente quadro normativo, si sofferma sulle recenti modifiche apportate dal regolamento (UE) 2024/1157, al fine di rappresentare i possibili scenari futuri.

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  1. I limiti e le criticità del precedente quadro giuridico

Al fine di comprendere le incongruenze tra la normativa generale sui rifiuti e quella sulle spedizioni degli stessi, occorre brevemente soffermarsi sul concetto di end of waste, regolato dall’art. 6 della direttiva (CE) 98/2008[3] (la cd. “direttiva madre sui rifiuti”) e recepita nell’ordinamento italiano all’art. 184-ter TUA.

La normativa citata prevede che un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero o riciclaggio[4] e soddisfa tutte le precise condizioni di cui all’art. 6 della direttiva del ’98, ossia:

  1. la sostanza o l’oggetto è destinata/o a essere utilizzata/o per scopi specifici;
  2. esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
  3. la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
  4. l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

Per la definizione dei criteri specifici poi, relativi a determinate tipologie di rifiuti, le norme citate stabiliscono una puntuale gerarchia:

  • al cui vertice figurano i regolamenti comunitari;
  • in difetto di disposizioni sovranazionali, è competente il Ministero dell’ambiente con decreti nazionali;
  • infine, solo in mancanza dei primi due, l’art. 184-ter, comma 3, TUA riconosce alle autorità competenti al rilascio delle autorizzazioni la possibilità di autorizzare i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto caso per caso.

Può sintetizzarsi, quindi, che la normativa riconosce la possibilità al Legislatore europeo di definire criteri end of waste validi per tutti gli Stati membri; tuttavia, in mancanza di un intervento in tal senso, gli stessi Stati possono adottare misure nazionali particolari per determinati flussi.

Ciò si è tradotto in una limitata produzione sovranazionale, ferma a soli tre regolamenti[5], l’ultimo addirittura datato luglio 2013, ed un proliferare – in Italia – di decreti nazionali, si pensi a quelli sui rifiuti di carta e cartone, gomma vulcanizzata derivante da PFU ed inerti.

Con ciò a dire, che a livello europeo si è assistito al formarsi di un sistema affatto armonizzato, nel quale alcuni materiali considerati “non rifiuto” in uno Stato (ad esempio l’Italia) possono essere invece classificati rifiuti in un altro.

La descritta disomogeneità normativa, se da un lato non costituisce un limite sul piano nazionale, dove l’end of waste viene gestito come “non rifiuto”, evidenzia rilevanti criticità al momento della spedizione verso Paesi entra-UE o Stati membri che non hanno adottato un analogo regolamento volto alla cessazione della qualifica di rifiuto di quel determinato flusso.

Infatti, in caso di disaccordo sulla qualificazione (quale rifiuto o meno) di un determinato materiale, il Legislatore comunitario, nel rispetto dei principi di prevenzione e precauzione, prevede che lo stesso debba essere trattato come rifiuto, al fine di assicurare, in massimo grado ed in via precauzionale la qualità dell’ambiente e della salute umana.

Ciò è stabilito proprio dall’art. 28 del regolamento sulle spedizioni dei rifiuti, ai sensi del quale, “se le autorità competenti di spedizione e destinazione non si accordano in merito alla classificazione dei materiali come rifiuti o no, detti materiali sono trattati come rifiuti”.

La medesima disposizione prosegue, poi, riconoscendo il diritto del paese di destinazione di trattare i materiali spediti conformemente alla legislazione nazionale, dopo il loro arrivo.

Si rileva, peraltro, che tale articolo crea non poche difformità in quanto:

  • in prima battuta pare applicarsi alle sole notifiche (ed invero le cd. autorità rilevano solo in caso di procedura ai sensi dell’articolo 4 e ss.);
  • nella prassi, il dissenso pare opposto anche dalle autorità di transito che tuttavia non vengono menzionate dal predetto articolo.

Risulta così evidente che demandando la disciplina end of waste ai singoli Stati[6], si sono generate inevitabilmente situazioni di disaccordo che hanno imposto l’attribuzione della qualifica di rifiuto e, di conseguenza, l’applicazione delle procedure previste dalla normativa sul trasporto transfrontaliero (es. l’utilizzo dell’Allegato VII).

Ciò trova, altresì, conferma nel considerando 19 della direttiva 2018/851/UE, ai sensi del quale “l’applicazione delle norme in materia di sottoprodotti e cessazione della qualifica di rifiuto dovrebbe lasciare impregiudicate le altre disposizioni del diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 28 (…) del regolamento (CE) n. 1013/2006 (…)”.

Appare così evidente il disallineamento già anticipato tra la normativa generale sui rifiuti e le disposizioni sulle spedizioni transfrontaliere, in quanto:

  • la prima – considerando il rifiuto una risorsa – mira a ridurre la forza attrattiva della nozione di rifiuto, valorizzando istituti come il sottoprodotto e la cessazione della qualifica di rifiuto;
  • la seconda, invece, nella precedente formulazione non prendeva in considerazione i suddetti istituti. Questa mancanza di coordinamento, se appariva ammissibile ab origine, posto che l’introduzione della nozione di end of waste è successiva rispetto al regolamento del 2006[7], non si comprende come si sia protratta nonostante i diversi interventi che hanno interessato il “mondo” dei rifiuti.

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  1. La nuova normativa ed il cambio di rotta

È in tale contesto che si inserisce il regolamento (UE) 2024/1157, pubblicato in GUUE del 30 aprile 2024, che prova a superare le incongruenze tra le due discipline.

Invero, un importante elemento innovativo è indubbiamente rappresentato dal fatto che il nuovo regolamento, nel disciplinare le ipotesi di disaccordo sulla qualificazione del materiale oggetto della spedizione, inserisce un espresso riferimento ai concetti di sottoprodotto e cessazione della qualifica di rifiuti, come di seguito rappresentato:

Art. 28 Reg. 1013/2006/CE

Art. 29 Reg. 2024/1157/UE

1. Se le autorità competenti di spedizione e destinazione non si accordano in merito alla classificazione dei materiali come rifiuti o no, detti materiali sono trattati come rifiuti. Ciò avviene fatto salvo il diritto del paese di destinazione di trattare i materiali spediti, dopo il loro arrivo, conformemente alla legislazione nazionale, allorché tale legislazione è conforme alla normativa comunitaria o al diritto internazionale.

1. Nel decidere se considerare rifiuto un oggetto o una sostanza risultante da un processo di produzione il cui scopo primario non è la produzione dell’oggetto o della sostanza, gli Stati membri applicano l’articolo 5 della direttiva 2008/98/CE.

Nel decidere se bisogna considerare rifiuti che hanno cessato di essere tali quelli sottoposti a un’operazione di riciclaggio o altra operazione di recupero, gli Stati membri applicano l’articolo 6 della direttiva 2008/98/CE.

Nel decidere se considerare bene usato e non rifiuto un oggetto o una sostanza, gli Stati membri provvedono affinché siano soddisfatte almeno le condizioni seguenti:

a) è certo che l’oggetto o la sostanza saranno ulteriormente utilizzati o riutilizzati;

b) l’oggetto o la sostanza può svolgere la funzione prevista senza pretrattamento significativo;

c) se del caso, l’oggetto o la sostanza è sottoposto a prova per garantirne la piena funzionalità;

d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia l’oggetto o la sostanza soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione dell’ambiente e della salute, e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana;

e) l’oggetto o la sostanza è adeguatamente conservato e protetto contro i danni durante il trasporto, il carico e lo scarico.

Le disposizioni di cui al terzo comma si applicano fatti salvi l’articolo 23, paragrafo 2, e l’allegato VI della direttiva 2012/19/UE del Parlamento europeo e del Consiglio[8], nonché l’articolo 72, paragrafo 2, e l’allegato XIV del regolamento (UE) 2023/1542 del Parlamento europeo e del Consiglio[9].

2. Se le autorità competenti di spedizione e destinazione non si accordano sulla classificazione di un oggetto o una sostanza come rifiuto o meno, tenendo conto delle disposizioni del paragrafo 1 e delle condizioni o decisioni adottate a livello dell’Unione o degli Stati membri a norma dell’articolo 5 o 6 della direttiva 2008/98/CE, l’oggetto o la sostanza è trattato/a come rifiuto ai fini della spedizione. Ciò avviene fatto salvo il diritto del paese di destinazione di trattare i materiali spediti, dopo il loro arrivo, conformemente alla legislazione nazionale, allorché tale legislazione è conforme al diritto dell’Unione o internazionale.

3. La Commissione può adottare atti di esecuzione al fine di stabilire criteri dettagliati per l’applicazione uniforme delle condizioni di cui al paragrafo 1, terzo comma, a sostanze od oggetti specifici per i quali la distinzione tra beni usati e rifiuti è di particolare importanza per l’esportazione di rifiuti dell’Unione.

Gli atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 81, paragrafo 2.

 

È indubbio che le nuove norme sulla spedizione di rifiuti, nello specifico l’art. 29 riportato, valorizzano l’end of waste e il sottoprodotto, aggiungendo quello che potrebbe essere definito come un “tertium genus”, ossia i beni usati, per i quali stabilisce propri criteri e attribuisce alla Commissione la facoltà di adottare criteri generali, specifici per determinate sostanze o oggetti.

In altri termini, il Legislatore europeo sembra anticipare il momento di intervento, non limitandosi – come fatto nel regolamento del 2006 – a normare il comportamento degli Stati quando non si accordano in merito alla classificazione dei materiali, bensì regolando proprio la fase di classificazione, imponendo agli Stati membri di applicare le norme su sottoprodotto ed end of waste già stabilite nella direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE.

In tal quadro, concentrandosi sulla cessazione della qualifica di rifiuto, il richiamo all’art. 6 della direttiva “madre” può essere interpretato nel senso di valorizzare il ruolo degli Stati membri, cui è demandato – seppur in via residuale – il potere di adottare criteri nazionali affinché un rifiuto perda, a fronte di un’operazione di recupero o riciclaggio, tale qualifica.

Le modifiche in commento, quindi l’espresso richiamo al suddetto art. 6, possono essere interpretate in maniera tale da:

  • confermare che, in presenza di criteri stabiliti a livello di Unione europea, i materiali end of waste non debbano essere qualificati rifiuti, restando esclusi dall’applicazione delle disposizioni di cui al reg. (UE) 2024/1157;
  • risaltare il ruolo dei decreti degli Stati membri, a prescindere dal reciproco riconoscimento del materiale come end of waste.

Ciò può ricavarsi:

  • dal secondo paragrafo dello stesso art. 29, che richiama le condizioni e decisioni adottate anche dagli Stati membri a norma dell’art. 6 della direttiva 2008/98/CE;
  • dal considerando n. 37 del nuovo regolamento in esame, che recita: “per evitare perturbazioni nella spedizione di oggetti o sostanze a causa di disaccordi tra le autorità competenti circa l’attribuzione o meno della qualifica di rifiuto a tali oggetti o sostanze, è necessario stabilire una procedura di risoluzione dei disaccordi. È importante a questo proposito che le autorità competenti basino le loro decisioni sulle disposizioni stabilite nella direttiva 2008/98/CE relative alla determinazione dei sottoprodotti e alla cessazione della qualifica di rifiuto (…)”;
  • dalla procedura per l’emanazione di un regolamento end of waste nazionale, che, ai sensi proprio dell’art. 6, par. 3, della direttiva del 2008[10], prevede che i criteri debbano essere preventivamente notificati alla Commissione, in applicazione della direttiva (UE) 2015/1535[11].

Alla luce delle modifiche descritte, può ritenersi che il Legislatore europeo abbia voluto rendere coerenti le normative generale sulla gestione dei rifiuti e quella sul trasporto transfrontaliero, consentendo al materiale end of waste di poter essere liberamente movimentato all’interno dell’Unione, tanto nelle ipotesi in cui i criteri per la cessazione di tale qualifica siano adottati a livello sovranazionale quanto nei casi in cui ciò avvenga sulla scorta di regolamenti nazionali ex art. 6 dir. 2008/98/CE.

Ma vi è di più, in quanto l’attenzione riservata dalla nuova normativa all’end of waste sembra emergere anche nel rapporto con i paesi “extra UE”, nelle ipotesi di disaccordo sulla qualificazione del materiale oggetto di spedizione tra le autorità competenti di spedizione e destinazione.

A differenza della precedente art. 28, l’attuale disposizione sulla risoluzione del disaccordo esplicita che l’oggetto o la sostanza deve essere trattato come rifiuto “ai fini della spedizione” e non anche all’intero trattamento, con ciò limitando la disciplina più restrittiva solo al trasporto

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  1. Conclusioni

Può concludersi, quindi, che il restyling alla disciplina sulle spedizioni dei rifiuti ci restituisce, finalmente, un regolamento armonizzato con la normativa generale sulla gestione degli stessi. Invero, sembra porsi la stessa attenzione della direttiva “madre” circa l’ordine di priorità dell’intervento[12], privilegiando la prevenzione e il riutilizzo.

Non appare un caso, infatti, che il nuovo regolamento faccia espressamente riferimento alla categoria dei “beni usati”, ossia dei non rifiuti per i quali stabilisce – addirittura – specifiche condizioni da soddisfare.

È inevitabile, quindi, che questo atteso allineamento normativo incida anche sull’end of waste, valorizzandolo.

Invero, il richiamo all’art. 6 della direttiva del ’98, operato dalla nuova normativa, consente di ritenere che i materiali che hanno cessato di essere rifiuti debbano essere considerati, appunto, come “non rifiuti” anche ai fini della spedizione.

Tale conclusione, quindi, deve prescindere dalla circostanza che detta “declassificazione” avvenga sulla scorta di normative nazionali (come ad es. i decreti ministeriali), posto che questi trovano fondamento e legittimazione proprio in quell’art. 6, espressamente richiamato – oggi – nel regolamento sulle spedizioni di rifiuti e la procedura di adozione contempla un obbligato passaggio in Commissione.

Ritenendo superato quel “cortocircuito” descritto nel presente elaborato,nonché le relative criticità operative-si pensi all’utilizzo della documentazione prevista dal reg. 1013/2006 (es. Allegato VII) per il trasporto diprodotti che avevano cessato di essere rifiutiilmaterialeend of wastesi sottrae finalmente alla disciplina suirifiuti, potendo essere messo a disposizione sul mercato al pari di altre materie prime.

 


[1] Le seguenti direttive del 30 maggio 2018: Dir. n. 2018/849/UE, Dir. n. 2018/850/UE, Dir. n. 2018/851/UE, Dir. n. 2018/852/UE.

[2] Considerando 1 alla Dir. 2018/851/UE: “La gestione dei rifiuti nell’Unione dovrebbe essere migliorata e trasformata in una gestione sostenibile dei materiali per salvaguardare, tutelare e migliorare la qualità dell’ambiente, proteggere la salute umana, garantire un utilizzo accorto, efficiente e razionale delle risorse naturali, promuovere i principi dell’economia circolare, intensificare l’uso delle energie rinnovabili, incrementare l’efficienza energetica, ridurre la dipendenza dell’Unione dalle risorse importate, fornire nuove opportunità economiche e contribuire alla competitività nel lungo termine. Al fine di creare un’autentica economia circolare, è necessario adottare misure aggiuntive sulla produzione e il consumo sostenibili, concentrandosi sull’intero ciclo di vita dei prodotti in modo da preservare e fungere da “anello mancante”. L’uso più efficiente delle risorse garantirebbe anche un considerevole risparmio netto alle imprese, alle autorità pubbliche e ai consumatori dell’Unione, riducendo nel contempo le emissioni totali annue dei gas a effetto serra”.

[3] Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive.

[4] Ai sensi dell’art. 3 della dir. 2008/98/CE, per recupero si intende “qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale. L’allegato II riporta un elenco non esaustivo di operazioni di recupero”. Diversamente, il riciclaggio è definito come “qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i materiali di rifiuto sono ritrattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini. Include il ritrattamento di materiale organico ma non il recupero di energia né il ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o in operazioni di riempimento”.

[5] Reg. (UE) n. 333/2011 del 31 marzo 2011; Reg. (UE) n. 1179/2012 del 10 dicembre 2012; Reg. (UE) n. 715/2013 del 25 luglio 2013.

[6] Ciò appare confermato anche dalla direttiva n. 851/2018/UE, che, nel modificare l’art. 6 della direttiva madre sui rifiuti, si limita ad aggiungere che “la Commissione monitora l’evoluzione dei criteri nazionali per la cessazione della qualifica di rifiuto negli Stati membri e valuta la necessità di sviluppare a livello di Unione criteri su tale base (…)”.

[7] Invero, la nozione di end of waste è stata introdotta solo con la direttiva 2008/98/CE.

[8] Direttiva 2012/19/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE).

[9] Regolamento (UE) 2023/1542 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2023, relativo alle batterie e ai rifiuti di batterie, che modifica la direttiva 2008/98/CE e il regolamento (UE) 2019/1020 e abroga la direttiva 2006/66/CE.

[10] Art. 6 (Cessazione della qualifica di rifiuto), par. 3, dir. n. 2008/98/CE: “(…) Gli Stati membri notificano alla Commissione tali criteri in applicazione della direttiva (UE) 2015/1535 ove quest’ultimo lo imponga”.

[11] Direttiva del 09/09/2015, n. 2015/1535. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede una procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servii della società dell’informazione (codificazione).

[12] Art. 4 (Gerarchia dei rifiuti), par. 1, Dir. 2008/98/CE: “La seguente gerarchia dei rifiuti si applica quale ordine di priorità della normativa e delle politiche in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e) smaltimento”.

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