Il TRGA TRENTO del 24 novembre 2017, n. 309 si pronuncia sul curatore che - pur avendo “l’amministrazione del patrimonio fallimentare” (cfr. l’art. 31, comma 1, della legge fallimentare) - non può tuttavia essere considerato un “detentore di rifiuti” ai sensi dall’art. 3, paragrafo 1, n. 6), della direttiva 2008/98/CE e dalla relativa norma nazionale di recepimento, costituita dall’art. 183, comma 1, lett. h), del decreto legislativo n. 152/2006.
Si argomenta che alla luce della sentenza della Corte di Giustizia U.E. n. 534 del 4 marzo 2015 il principio “chi inquina paga”, desumibile dall’art. 191, paragrafo 2, del TFUE, comporta una preclusione alla normativa interna di imporre ai singoli costi per lo smaltimento dei rifiuti che non si fondino su di un ragionevole legame con la produzione dei rifiuti medesimi (così Consiglio di Stato, Sez. V, 7 giugno 2017, n. 2724).
La produzione di rifiuti è connessa all’esercizio di un’attività imprenditoriale, attività che - salva l’ipotesi dell’esercizio provvisorio ai sensi dell’art. 104 del R.D. n. 267/1942 (in cui il curatore esercita attività di impresa) - non viene proseguita dal curatore, che si occupa solo di liquidare i beni del fallito per soddisfare i creditori ammessi al passivo.
Pertanto, la curatela fallimentare non può essere destinataria, a titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze sindacali dirette alla tutela dell’ambiente, per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell’impresa fallita, non subentrando tale curatela negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità del fallito e non sussistendo, per tal via, alcun dovere del curatore di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti (così T.A.R. Lombardia Milano, Sez. III, 3 marzo 2017, n. 520; si vedano anche Tribunale di Milano, Sezione fallimentare, 8 giugno 2017 e Cass. pen., Sez. III, 16 giugno 2016, n. 40318).