Così dice una recentissima pronuncia della Cassazione Penale (Sez. III del 14 novembre 2018, n. 51475).
Il ragionamento sul punto muove dalla considerazione che la parte quinta del d. lgs. n. 152/2006 contiene disposizioni volte a prevenire e reprimere l’inquinamento atmosferico, definito dall’art. 268 comma 1 lett. a) come “ogni modificazione dell’aria atmosferica, dovuta all’introduzione nella stessa di una o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per le qualità dell’ambiente, oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente”.
Di qui si evidenzia il legame tra aria e ambiente.
Tra l’altro, un conforto in tal senso giunge anche dal diritto europeo, ove la direttiva 2004/35/CE afferma che il danno ambientale include altresì il danno causato da elementi aerodispersi, nella misura in cui possono causare danni all’acqua, al terreno e alle specie e agli habitat naturali protetti, per cui non manca neanche nella direttiva un riferimento all’aria che, come detto, deve ritenersi insito nel citato richiamo alla nozione di risorse naturali, il cui deterioramento, “significativo e misurabile”, concretizza il danno ambientale.
Se si vuole ricordare la sentenza della Corte di giustizia (Seconda Sezione) del 13 luglio 2017, causa C-129/16, poi, non è intesa in senso contrario, in quanto non ha messo in discussione la possibilità di ravvisare il danno ambientale nell’inquinamento dell’area derivante dal un trattamento illegale di rifiuti e questo coerentemente con lo spirito della direttiva, volta ad ampliare, anche attraverso i meccanismi riparatori ivi previsti, le forme di tutela in materia ambientale.
Si conclude, pertanto che l’inquinamento dell’aria, ove “significativo e misurabile”, rientra nella nozione di danno ambientale ex art. 300 del d. lgs. 152/2006.