La Corte di Giustizia UE si è espressa sulla domanda di pronuncia pregiudiziale pervenuta dall’Italia e relativa all’interpretazione della direttiva 2010/75/UE, in ordine alle emissioni industriali. Questa si inserisce nell’ambito di una controversia che verte tra i residenti del Comune di Taranto e dei Comuni limitrofi nei confronti dell’Ilva S.p.A.
Al riguardo, le questioni pregiudiziali presentate sono:
• se la direttiva 2010/75 ed il principio di precauzione e protezione della salute umana. di cui all’art. 191 TFUE, possono essere interpretati nel senso che, in applicazione di una legge nazionale di uno Stato membro, è concessa a tale Stato la possibilità di prevedere che Valutazione di Danno Sanitario (VDS) costituisca atto estraneo alla procedura di rilascio e riesame dell’AIA;
• se la medesima direttiva può essere interpretata nel senso che, in applicazione di una legge nazionale di uno Stato membro, questo deve prevedere che l’AIA debba considerare sempre tutte le sostanze oggetto di emissioni che siano scientificamente note come nocive, comprese le frazioni di PM10 e PM2,5 ovvero se devono considerarsi solo sostanze inquinanti previste a priori in ragione della natura e tipologia dell’attività industriale svolta;
• infine, se la direttiva del 2010 debba essere interpretata nel senso nel senso che, in applicazione di una legge nazionale di uno Stato membro, tale Stato membro, in presenza di un’attività industriale recante pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, possa differire il termine concesso al gestore per adeguare l’attività industriale all’autorizzazione concessa, realizzando le misure ed attività di tutela ambientale e sanitaria ivi previste, per circa sette anni e mezzo dal termine fissato inizialmente e per una durata complessiva di undici anni.
Ebbene, in merito alla prima questione, la Corte adita risponde che la direttiva 2010/75 deve essere interpretata nel senso che gli Stati membri sono tenuti a prevedere che una previa valutazione degli impatti dell’attività dell’installazione interessata tanto sull’ambiente quanto sulla salute umana costituisca atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame di un’autorizzazione all’esercizio di una tale installazione ai sensi di detta direttiva.
In ordine alla seconda questione, poi, si risponde che ai fini del rilascio o del riesame dall’AIA, l’autorità competente deve considerare, oltre alle sostanze inquinanti prevedibili, tutte quelle oggetto di emissioni scientificamente note come nocive, che possono essere emesse dall’installazione interessata, comprese quelle generate dall’attività ma che non siano state valutate nel procedimento di autorizzazione iniziale dell’installazione.
Infine, relativamente alla terza questione, la Corte afferma che la direttiva 2010/75 deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale ai sensi della quale il termine concesso al gestore di un’installazione per conformarsi alle misure di protezione dell’ambiente e della salute umana previste dall’autorizzazione all’esercizio di tale installazione è stato oggetto di ripetute proroghe, sebbene siano stati individuati pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana. Qualora l’attività dell’installazione interessata presenti tali pericoli, l’articolo 8, paragrafo 2, secondo comma, di detta direttiva esige, in ogni caso, che l’esercizio di tale installazione sia sospeso.