La prescrizione 231 fra illeciti e sanzioni: la pronuncia della cassazione

EDITORIALE, 08/10/2021

L’art. 22 “prescrizione” del D. Lgs. 231 del 2001 al suo primo comma, stabilisce che “le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato”.

Ma tale termine quinquennale vale solo per la prescrizione degli illeciti amministrativi commessi dall’ente o anche per l’applicazione delle sanzioni ad esso irrogate?

A rispondere a tale quesito ci ha pensato la Corte di Cassazione che, nella recente sentenza n. 31854/2021, ha contribuito ad esplicitare il significato delle disposizioni dell’art. 22 del decreto 231 approfondendo un argomento di particolare rilievo nell’ambito della normativa 231, ovvero quello della prescrizione dell’illecito amministrativo dell’ente.

In particolare, nel caso di specie, una Società, condannata nel 2012 ai sensi dell’art. 63 (Applicazione della sanzione su richiesta) del D. Lgs. 231/2001, al pagamento di una sanzione pecuniaria di euro 600.000, è stata raggiunta dalla cartella esattoriale di pagamento a distanza di oltre 5 anni dal passaggio in giudicato della sentenza.

L’azienda, pertanto, ha presentato ricorso al Giudice dell’esecuzione, chiedendo che questo accertasse il decorso del termine quinquennale della prescrizione ai sensi dell’art. 22 del D. Lgs. 231/2001.

Il Giudice, tuttavia, ha rigettato tale richiesta sostenendo, non solo che il sopracitato articolo 22 avesse per oggetto solo la prescrizione dell’illecito amministrativo e non anche la prescrizione della sanzione, ma anche che nel caso in questione si dovesse applicare l’art. 2953 (Effetti del giudizio sulle prescrizioni brevi) c.c. ai sensi del qualeI diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni .

La Società, pertanto, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo quale unico motivo, l’erronea interpretazione dell’art. 22 del decreto 231 data dall’asserita “inapplicabilità del termine prescrizionale quinquennale di cui al D.lgs. n. 231 del 2001, art. 22, alla sanzione amministrativa, per illecito dipendente da reato, inflitta alla persona giuridica con sentenza passata in giudicato”.

Ebbene la Suprema Corte, ha accolto il ricorso presentato specificando:

  • da un lato che l’art. 22 del decreto 231 debba essere letto ed interpretato nella sua interezza ed in maniera coordinata e che il comma 4 della norma prevede che nel caso in cui la prescrizione sia stata interrotta dalla contestazione dell’illecito questa ricomincerà a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza, con la conseguenza che ove tale condizione finale si verifichi, allora inizierà a decorrere nuovamente il termine prescrizionale istituito, di durata quinquennale, tuttavia riferito, da tale momento in poi, alla riscossione della sanzione definitivamente irrogata.
  • dall’altro che il richiamo alle norme civilistiche, sebbene previsto dalla legge delega n. 300 del 2000 debba intendersi limitato al regime interruttivo della prescrizione e non al termine della prescrizione.

Con ciò a significare che a differenza di quanto sostenuto dal Giudice dell’esecuzione, non è possibile fare riferimento all’art. 2953 c.c. che dispone la prescrizione decennale, dovendosi invece applicare il termine quinquennale, valido non solo per l’illecito ma anche per la sanzione amministrativa.

Gli Ermellini, quindi, hanno accolto il ricorso presentato dalla Società condannata, affermando il principio di diritto secondo cui la prescrizione quinquennale ex art. 22 D. Lgs. 231/2001, si applica sia all’illecito amministrativo commesso dall’ente, che alla sanzione che gli è stata irrogata, che per non andare prescritta deve essere eseguita entro il termine di cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza pronunciata a carico della persona giuridica.


 

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