L’istituto di statistica europeo ha da poco pubblicato i dati riguardanti la quantità di rifiuti pro capite prodotti nel 2020. Secondo gli esperti in tale arco temporale ogni cittadino UE avrebbe generato fino a 127 kg di rifiuti alimentari, con uno spreco domestico pari a 70 kg per abitante.
Tale ammontare porta lo spreco alimentare “casalingo” a staccare quelli di cibo derivante dalla produzione primaria (14 kg pro capite), da quelli relativi al settore della produzione di prodotti alimentari e bevande ( 23 kg pro capite), da quelli provenienti dai servizi di ristorazione (12 kg pro capite) e, infine, da quelli delle attività di vendita al dettaglio di generi alimentari ( 9 kg pro capite).
È tuttavia importante sottolineare che l’impatto della pandemia su tali settori ha profondamente influenzato i numeri e le statistiche rilevati dall’Eurostat.
Innanzitutto, il Ministero conferma che, seppur detto documento sia stato approvato con decreto direttoriale, risulta comunque adottato sulla base di un’esplicita previsione di legge statale (l’art. 184, comma 5, TUA), cosicché assume una forza formale assimilabile a quella della legge stessa.
Tra i chiarimenti forniti, si ribadisce che il giudizio di classificazione può non rendersi necessario in vari casi, citando come esempio la classificazione dei rifiuti non pericolosi “assoluti”. Così come si segnalano le specificazioni in ordine ai RAEE, per i quali si è scelto di adottare un approccio analogo a quello dei VFU per individuare le sostanze pericolose, e per il professionista abilitato, individuato come “un tecnico abilitato nelle specifiche materie di competenza necessarie per la corretta identificazione e ricerca delle sostanze presenti”.
Degne di nota, inoltre, appaiono le specificazioni circa la classificazione dei rifiuti da costruzione e demolizione e agli imballaggi. Nel primo caso, si prevede che la descrizione di cui al paragrafo 3.5.4 deve leggersi solo come semplificativa, quindi da applicarsi in senso estensivo. In merito agli imballaggi, invece, si chiarisce che la presenza di un residuo minimo di prodotti non ha effetti ai fini della classificazione del rifiuto, purché non sia pericoloso.