Reti fognarie e trattamento acque reflue urbane: arriva la condanna della Corte di Giustizia

EDITORIALE, 26/11/2021

Con sentenza del 6 ottobre 2021 resa nella causa C-668/19, la Corte di Giustizia ha condannato l’Italia per la violazione delle norme europee in materia di reti fognarie.

Più in particolare, l’Italia sarebbe venuta a meno agli obblighi discendenti da numerose disposizioni della direttiva del Consiglio 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane (da ultimo modificata tramite Direttiva 2013/64/UE del Consiglio del 17 dicembre 2013).

L’inadempimento, è bene precisarlo, riguarda la situazione delle reti fognarie e delle acque reflue urbane al 18.07.2017, ossia il termine fissato dalla Commissione europea per sanare l’adempimento prima di avviare la fase “contenziosa” vera e propria davanti alla Corte di Giustizia.

La violazione ha coinvolto numerosissimi comuni e agglomerati sparsi su tutto il territorio italiano e ha riguardato le violazioni degli artt. 3, 4, 5 e 10 della direttiva.

Più precisamente, l’art. 3 prevede che entro il 31.12.2005, gli agglomerati urbani con un numero di abitanti equivalenti (a.e.) compreso tra i 2.000 e i 15.000 dovevano essere provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane. Ebbene, al 18.07.2017, l’Italia non era dotata di un sistema di reti fognarie atto a soddisfare i requisiti di cui alla citata direttiva in relazione a ben 159 agglomerati.

L’art. 4 della direttiva prevede poi che entro il 31.12.2005, le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie dovevano essere sottoposte ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, sia prima dello scarico in acque dolci per gli agglomerati con numero di a.e. compreso tra 2.000 e 10.000, sia prima dello scarico in qualsiasi altro corpo ricettore per gli agglomerati con numero di a.e. compreso tra 10.000 e 15.000.

Rispetto a tale punto, la Corte osserva che poiché in 461 le reti fognarie non consentivano di accogliere e convogliare la totalità di acque reflue urbane ai fini del loro trattamento, un tale processo depurativo non poteva essere effettuato.

L’art. 5, par. 2 della direttiva prevede invece che entro il 31.12.1998, per gli agglomerati con oltre 10.000 a.e., le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie devono essere sottoposte prima dello scarico in aree sensibili (individuate secondo i criteri forniti dall’allegato II della direttiva), a un trattamento più spinto di quello di cui all’art. 4. Anche sotto questo profilo l’Italia sarebbe stata inadempiente in relazione a 8 agglomerati.

Infine, l’art. 10 della direttiva prevede che la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane devono essere condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali, e che la progettazione degli impianti deve tener conto delle variazioni stagionali di carico.

Numerose quindi le violazioni di cui alla citata direttiva. La sentenza, però, non prevede alcuna sanzione per l’ordinamento italiano, la quale si limita ad accertare la situazione di non conformità.

È bene quindi che lo Stato italiano si adegui al più presto e ponga fine alla violazione.

Infatti, preme ricordare che, ai sensi dell’art. 260, co. 1 TFUE, quando la CGUE riconosce che uno Stato ha violato gli obblighi su di esso incombenti, esso è tenuto a prendere i provvedimenti necessari per ripristinare la situazione di conformità e che, ai sensi del successivo co. 2, se tale Stato non adotta tali misure la Commissione può adire nuovamente la Corte di Giustizia, la quale lo può condannare lo Stato al pagamento di una somma forfettaria o di una penalità̀ di mora.


 

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