TAR Lombardia, Milano, sez. III, sent. del 24 luglio 2024, n. 2302
Il Tar Lombardia, con la sentenza n.2302/2024, torna sul tema delle condizioni necessarie affinché le terre e rocce da scavo possano essere qualificate come “sottoprodotti”.
Più nel dettaglio, essa trae origine dal ricorso presentato dal titolare di una società individuale artigiana volto a far valere l’illegittimità dell’ordinanza di rimozione rifiuti notificatagli da un Comune lombardo, il quale, ravvisando un’attività di gestione illecita di rifiuti, gli aveva contestato un deposito non autorizzato di terre e rocce da scavo.
Il Tribunale chiarisce innanzitutto che, sul piano normativo, gli artt. 184-bis TUA e 4 del D.P.R. n. 120/2017 consentono di qualificare, se sussistono determinate condizioni, le terre e le rocce da scavo come "sottoprodotti", anziché rifiuti, rendendo così possibili alcuni utilizzi dei materiali, altrimenti preclusi (tra cui il deposito).
L'art. 21 del decreto del 2017, poi, stabilisce che la qualifica di sottoprodotti, in relazione alle terre e rocce da scavo, è attestata dal produttore tramite una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ex art. 47, del D.P.R. n. 445/2000, da trasmettere all'ARPA e al Comune del luogo di produzione del materiale.
Ne consegue che, ove la consegna di tale dichiarazione "al comune del luogo di produzione e all'Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente" (art. 21 D.P.R. n. 120/2017) sia stata correttamente eseguita, le terre e rocce da scavo possono essere legittimamente considerate “sottoprodotti”.