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Posto che “quella dei sottoprodotti è una disciplina che prevede l’applicazione di un diverso regime gestionale in condizioni di favore”, viene concordemente sancito dalla giurisprudenza che “l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza di tutte le condizione di legge incombe comune su colui che le invoca”1.
Quanto all’incombenza dell’onere della prova in capo al soggetto che intende avvalersi della disciplina derogatoria relativa ai sottoprodotti, questa è, dunque, comprovata dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Ed invero, in una recente sentenza la Cassazione Penale2 si è pronunciata di nuovo sulla qualificazione di sottoprodotto, questa volta in relazione alla gestione di rifiuti plastici spediti in Cina.
Il Tribunale aveva, infatti, condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 256 del D. Lgs n.152/06 perché in mancanza delle prescritte autorizzazioni, iscrizioni e comunicazioni, recuperava, trasportava e commercializzava rifiuti plastici non pericolosi, immettendoli all’interno del container destinato alla Cina.
Si deduce violazione di legge in relazione alla erronea qualificazione del materiale oggetto di causa quale rifiuto, lamentando che si tratterebbe piuttosto di sottoprodotto, ai sensi dell’art. 184-bis lett. a) e e), direttamente utilizzabile mediante una normale pratica industriale.
La Cassazione rammenta che la presunzione legale iuris tantum della qualifica di rifiuto non è vinta da chi eccepisce la natura di sottoprodotto della sostanza derivante dalle predette attività.
Incombe, invece, sull’interessato l’onere di provare la presenza di tutti i requisiti richiesti dall’articolo 184-bis per attribuire alla sostanza la qualifica di sottoprodotto, trattandosi di una condizione per l’applicabilità di un regime derogatorio a quello ordinario dei rifiuti.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che in materia di gestione dei rifiuti, ai fini della qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali incombe sull’interessato l’onere di fornire la prova che un determinato materiale sia destinato con certezza ed effettività, e non come mera eventualità, ad un ulteriore utilizzo, trattandosi di disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria.
Oltretutto, proseguono i giudici, anche nel DM del 13 ottobre 2016, n. 264, art. 4, si afferma che, ai sensi dell’articolo 184-bis i residui di produzione, ossia “ogni materiale o sostanza che non è deliberatamente prodotto in un processo di produzione e che può essere o non essere un rifiuto” sono sottoprodotti e non rifiuti quando il produttore dimostra che, non essendo stati prodotti volontariamente e come obiettivo primario del ciclo produttivo, sono destinati ad essere utilizzati nello stesso o in un successivo processo, dal produttore medesimo o da parte di terzi e, a tal fine, in ogni fase della gestione del residuo, è necessario fornire la dimostrazione che sono soddisfatte tutte le condizioni di cui alle lettere a), b), e) ed) dell’articolo 4 del decreto.
In conclusione, resta inteso, dunque, che la dimostrazione della ricorrenza di tutte le condizioni è rimessa al produttore che voglia goderne.