A quali condizioni un rifiuto cessa di essere tale?

Contenuto

Con la recente sentenza del 30 agosto 2019, n. 36692 la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulle condizioni necessarie affinché un rifiuto possa non essere più considerato come tale.

La questione è sorta dalla vicenda processuale che vede coinvolto un soggetto privato condannato in secondo grado dalla Corte di Appello di Palermo, a 4 mesi di arresto per il reato di cui all’art. 256 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata), comma 1 lett.a), del D. Lgs. 152/2006 (TUA), per aver effettuato un trasporto non autorizzato di rifiuti non pericolosi.

Contro la suddetta sentenza il condannato proponeva ricorso in Cassazione adducendo come motivo che il carico trasportato (materiali ferrosi), non dovesse essere qualificato come rifiuto in quanto riciclabile e riutilizzabile e, soprattutto, in virtù della sussistenza di un mercato di destinazione per il materiale in questione.

Ma quando un rifiuto cessa di essere tale? Quali sono le condizioni necessarie?

Ai suddetti quesiti ha risposto la Suprema Corte che nel valutare il ricorso presentatole è partita dalla disamina dell’art. 184-ter (cessazione della qualifica di rifiuto) del TUA.

La suddetta norma, infatti, ricorda la Corte, stabilisce le condizioni per potere escludere la qualifica di rifiuto e precisamente stabilisce che:

“È necessario che esso sia sottoposto ad un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i seguenti criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto sia comunemente utilizzato per scopi specifici;

b) sussista un mercato e una domanda del materiale recuperato;

c) la sostanza o l’oggetto soddisfi i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetti la normativa e gli standards esistenti applicabili ai prodotti;

d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non comporti impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana”.

Ed invero, dal sopra citato elenco di presupposti necessari per la cessazione della qualifica di rifiuto, alla lett. b) emerge la necessità che vi sia un mercato ed una domanda per il materiale in questione.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ribadito che tale condizione non è sufficiente in quanto un rifiuto che non viene sottoposto ad attività di recupero da soggetto autorizzato resta tale e, quindi, assoggettato alla parte IV del D. Lgs. 152/2006, pur avendo un mercato di destinazione.

Nella Sentenza in commento, infatti, gli Ermellini, hanno specificato che con l’introduzione nel TUA dell’art. 184-ter per opera del D. Lgs. n. 205 del 2010 “non è venuta meno la necessità che il rifiuto sia sottoposto ad operazione di recupero, perché possa essere definitivamente sottratto alla disciplina in materia di gestione dei rifiuti”. Anche a seguito delle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 205 del 2010, infatti, la cessazione della qualifica di rifiuto deriva da una pregressa e necessaria attività di recupero. È una costante che percorre, trasversalmente, tutte le definizioni e modifiche legislative sopra riportate. L’attività di recupero, come definita dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. t) costituisce una fase della gestione del rifiuto, che deve in ogni caso essere posta in essere da soggetto a ciò autorizzato”.

La Corte, inoltre, continua affermando che sebbene l’art. 184-ter comma 2 del TUA estenda il concetto di “recupero” anche al solo controllo per verificare se vi sono i criteri elaborati conformemente alle condizioni indicale nel comma 1, si tratta pur sempre di operazione di “recupero” che, in quanto tale, è comunque necessario che venga effettuata da soggetto autorizzato.

Alla luce di quanto sopra, pertanto, la Corte di Cassazione, ha ritenuto insussistenti le condizioni di cui all’art. 184-ter del TUA per la cessazione della qualifica di rifiuto ed ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

In conclusione, quindi, i materiali di scarto che non vengono sottoposti ad operazione di recupero da parte di soggetto autorizzato, non rispettano le prescrizioni di cui all’art. 184-ter del TUA e, pertanto, non cessano di essere rifiuti nemmeno laddove sussista un mercato di destinazione degli stessi, restando quindi soggetti alla disciplina di cui alla parte IV del D. Lgs. 152/2006 in materia di gestione dei rifiuti.

Contatta il nostro servizio clienti ed ottieni in tempi brevi tutte le informazioni necessarie nonché preventivi gratuiti.
Ambiente Legale dalla parte delle aziende.
RICHIEDI INFORMAZIONI