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La discarica non autorizzata è sanzionata all’art. 256, comma 31 del d.lgs n. 152/06 e la condotta illecita è stata così profilata dalla giurisprudenza2: “si ha discarica abusiva tutte le volte in cui, per effetto di una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo di rifiuti con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato. Inoltre, il reato di discarica abusiva è configurabile anche in caso di accumulo di rifiuti che, per le loro caratteristiche, non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge e comportino il degrado dell’area su cui insistono, anche se collocata all’interno dello stabilimento produttivo”.
Ci si chiede se le cose cambino qualora i soggetti che hanno commesso il fatto siano dotati di proprie autorizzazioni alla raccolta o al trasporto di rifiuti e quindi se sussista una rilevanza delle autorizzazioni dei privati o piuttosto si configuri l’illecito pur in costanza delle autorizzazioni menzionate.
In una recentissima pronuncia la Suprema Corte si è espressa risolvendo le perplessità. La questione sorge da una vicenda processuale che, dalla data in cui ha avuto origine (fatto avvenuto nel 2016) ha trovato soluzione solo recentemente a seguito di pronuncia della Corte di Cassazione, con sentenza n. 44847 del 5 novembre 2019.
Nello specifico, due soggetti privati, erano stati condannati in primo grado, fra gli altri illeciti, per il reato di cui all’art. 256.
La Condanna per il reato di cui sopra, inoltre, è confermata in secondo grado per entrambi i soggetti privati. Questi ultimi, pertanto, hanno presentato ricorso in Cassazione sostenendo, fra gli altri motivi, la violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 256 comma 3 del TUA.
In particolare, la tesi difensiva sosteneva un “macroscopico errore” nella valutazione degli elementi acquisiti in quanto, i giudici, sia in primo che in secondo grado, non avrebbero tenuto in considerazione delle autorizzazioni di cui entrambi gli imputati erano titolari che, a dire delle difesa, avrebbero dovuto esimere i soggetti imputati da una eventuale responsabilità penale in materia di discarica non autorizzata.
Tuttavia, gli Ermellini, non si sono mostrati in accordo con la teoria avanzata dalla difesa.
Secondo la Corte di Cassazione, invero, “la circostanza che i materiali siano stati scaricati in maniera indiscriminata su di un’area demaniale, il greto di un torrente, che non era oggetto di autorizzazione, rende del tutto irrilevante la circostanza che l’imputato avesse l’autorizzazione di raccogliere ovvero trasportare rifiuti in un sito privato o, comunque, in altri siti a ciò deputati”.
Le autorizzazioni dei soggetti privati alla raccolta o al trasporto di rifiuti in un’area privata o comunque, in altre aree a ciò dedicate, non assumono alcuna rilevanza rispetto al fatto in questione in quanto tali autorizzazioni non attenevano all’area interessata dall’ipotesi di discarica abusiva.
In conclusione, quindi, lo scarico di rifiuti in un’area demaniale non oggetto di apposita autorizzazione, in presenza delle altre condizioni richieste, configura la fattispecie di discarica abusiva di cui all’art. 256 comma 3 del TUA anche se i soggetti che hanno commesso il fatto sono dotati di proprie autorizzazioni alla raccolta o al trasporto di rifiuti in siti privati o altri siti a ciò dedicati.