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La Corte di Giustizia Ue1 si è pronunciata recentemente sulla responsabilità per danno ambientale2 conseguente ad incenerimento di rifiuti in una ipotesi di inquinamento diffuso a carico dei proprietari dei fondi. Il giudice del rinvio ungherese aveva chiesto:
- se le disposizioni della direttiva 2004/35 dovessero essere interpretate nel senso che ostino a una normativa nazionale che identifica, come responsabili in solido, non solo gli utilizzatori dei fondi in cui ha avuto origine un inquinamento illecito, ma anche un’altra categoria di persone, ossia i proprietari dei fondi, senza necessità di dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta di detti proprietari e l’inquinamento constatato;
- se l’articolo 16 della direttiva 2004/35 debba essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale secondo cui ai proprietari dei fondi sui quali sia stato generato un inquinamento illecito sia inflitta anche un’ammenda da parte dell’autorità amministrativa nazionale competente (oltre essere riconosciuti responsabili in solido).
La Corte ricorda che il modello della responsabilità civile non è strumento adatto per trattare l’inquinamento a carattere diffuso e generale nei casi in cui sia impossibile collegare gli effetti ambientali negativi a atti o omissioni di taluni singoli soggetti. In ogni caso, il regime di responsabilità ambientale previsto dalla direttiva richiede che sia accertato dall’autorità competente un nesso causale tra l’azione di uno o più operatori individuabili e il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno.
Tuttavia, l’articolo 16 della direttiva 2004/35 prevede la facoltà per gli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, comprese l’individuazione di altre attività da assoggettare agli obblighi di prevenzione e di riparazione e l’individuazione di altri soggetti responsabili.
Pertanto, la Corte conclude che le disposizioni della direttiva 2004/35 devono essere interpretate nel senso che non ostano a una normativa nazionale che identifica, oltre agli utilizzatori dei fondi su cui è stato generato l’inquinamento illecito, un’altra categoria di persone solidamente responsabili di un tale danno ambientale, ossia i proprietari di detti fondi, senza che occorra accertare l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno, a condizione che tale normativa sia conforme ai principi generali di diritto dell’Unione, nonché ad ogni disposizione pertinente dei Trattati UE e FUE e degli atti di diritto derivato dell’Unione.
Nei loro confronti può perfino essere inflitta un’ammenda dall’autorità nazionale competente, purché una tale normativa sia idonea a contribuire alla realizzazione dell’obiettivo di protezione rafforzata dell’ambiente e le modalità di determinazione dell’ammontare dell’ammenda non eccedano la misura necessaria per raggiungere tale obiettivo.
Nel caso in oggetto la normativa nazionale ungherese stabilisce che i proprietari di beni immobili per evitare di essere ritenuti solidalmente responsabili, debbano sorvegliare il comportamento degli utilizzatori dei loro beni e segnalarli all’autorità competente in caso di danno ambientale o minaccia di tale danno. La medesima non compromette il principio della responsabilità ricadente in primo luogo sull’utilizzatore ed è finalizzata ad impedire una carenza di diligenza da parte del proprietario.
Si tratta, quindi, di una ammissione di responsabilità più rigorosa a tutela dell’ambiente e in ossequio ai principi della direttiva sul danno ambientale.
In conclusione, è compatibile con la direttiva 2004/35/CE una normativa nazionale che identifichi, oltre agli utilizzatori dei fondi su cui è stato generato l’inquinamento illecito, quali soggetti solidalmente responsabili, i proprietari di detti fondi, indipendentemente dall’accertamento del nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno.