È scusabile l’ignoranza della prescrizione imposta dall’autorizzazione ambientale?

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Le prescrizioni contenute nelle autorizzazioni ambientali costituiscono il precetto che definisce la fattispecie penale in bianco di cui all’art. 256 commi 1 e 4 D.Lgs. 152/20061, la cui mancata o erronea conoscenza non determina la scusabilità del reo, al di fuori dell’ignoranza inevitabile. 

In tal senso si è recentemente pronunciata la Suprema Corte2 che, con riferimento alla fattispecie in commento precisando che l’errore sulla prescrizione autorizzatoria non costituisce un errore sul fatto, ma sul precetto, e pertanto, essendo la conoscenza del precetto violato presunta per legge, l’ignoranza non è scusabile salvo il caso di c.d. “ignoranza inevitabile”.

Mutuando un principio già più volte espresso dalla Cassazione, a seguito della storica sentenza della Corte Costituzionale3, e ribadito da ultimo nella sentenza in questione, è possibile affermare che l’ignoranza della legge penale può considerarsi inevitabile e quindi l’errore scusabile, allorché il reo abbia agito secondo l’ordinaria diligenza.

Purtuttavia, ciò che maggiormente rileva, al fine di fornire una risposta al quesito posto, è la portata dell’ordinaria diligenza che varia, infatti, in base alle qualità del reo.

Ebbene, se per il comune cittadino detto limite coincide con l’ordinaria diligenza e l’assolvimento del dovere di informazione, il soggetto che svolge  professionalmente una determinata attività risponde di un illecito anche a titolo di colpa lieve, essendo molto più rigoroso per detti soggetti, il dovere di informazione e di diligenza, appunto professionale.

Ciò implica che l’ignoranza c.d. inevitabile, e quindi scusabile, può ritenersi sussistere solo nel caso in cui “da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e conseguentemente della liceità del comportamento tenuto (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994, Calzetta, Rv. 197885; più recentemente, Sez. 3, n 35314 del 20/05/2016, Oggero, Rv. 268000)”.

In conclusione, posto che il soggetto che esercita professionalmente determinate attività è obbligato ad impiegare un elevato grado di diligenza nella propria condotta, l’ignoranza delle prescrizioni autorizzative ambientali, che costituiscono precetto della norma penale in bianco di cui ai commi 1 e 4 dell’art. 256 TUA,  è scusabile solo se il reo abbia desunto la liceità della propria condotta e la correttezza dell’interpretazione normativa, da una un comportamento positivo degli organi amministrativi ovvero da un pacifico orientamento giurisprudenziale.

  


1 D.Lgs. 152/2006_ Art. 256  (Attività di gestione di rifiuti non autorizzata).

Comma 1.  “Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito: (1166)

con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;

con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

Comma 4. “Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni”.

2 Cass. pen. Sez. III, sent. del 3 maggio 2018, n. 18891.

3 Corte Costituzionale, sent. del 23 marzo 1988 n. 364. 

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