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Al fine di dare risposta al quesito posto devono richiamarsi gli artt. 5, 6 e 7 del D.Lgs. 99/1992 che disciplinano, rispettivamente, le competenze dello Stato, delle Regione e delle Province in materia di utilizzazione dei fanghi di depurazione (cd. fanghi biologici) in agricoltura.
In particolare, l’art. 6 prevede espressamente che “1. Le regioni:
1) rilasciano le autorizzazioni per le attività di raccolta, trasporto, stoccaggio, condizionamento, come definito dall’art. 12, ed utilizzazione dei fanghi in agricoltura, conformemente alla normativa vigente e al presente decreto;
2) stabiliscono ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi, alle modalità di trattamento;
3) stabiliscono le distanze di rispetto per l’applicazione dei fanghi dai centri abitati, dagli insediamenti sparsi, dalle strade, dai pozzi di captazione delle acque potabili, dai corsi d’acqua superficiali, tenendo conto delle caratteristiche dei terreni (permeabilità, pendenza) delle condizioni meteoclimatiche della zona, delle caratteristiche fisiche dei fanghi;
4) predispongono piani di utilizzazione agricola dei fanghi tenendo conto delle caratteristiche quali-quantitative degli stessi, della loro utilizzazione in atto o potenziale, della ricettività dei terreni, degli apporti ai suoli in nutrienti, in sostanza organica, in microelementi, derivanti da altre fonti, dei criteri di ottimizzazione dei trasporti, delle tipologie di trattamento,
5) redigono ogni anno e trasmettono al Ministero dell’ambiente una relazione riassuntiva sui quantitativi di fanghi prodotti in relazione alle diverse tipologie, sulla composizione e le caratteristiche degli stessi, sulla quota fornita per usi agricoli sulle caratteristiche dei terreni a tal fine destinati;
6) stabiliscono le norme sanitarie per il personale che viene a contatto con i fanghi”.
Pertanto, dalla lettura delle citate disposizioni – che attribuiscono specifiche competenze esclusivamente allo Stato, alle Regione e alle Province – emerge che nella materia in esame i comuni non hanno potestà regolamentare.
Tale conclusione è confermata anche dalla giurisprudenza1 la quale ha affermato che, posto che:
“L’art 6 del D.Lgs. n.99/92 demanda alla Regione la potestà di stabilire “limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi, alle modalità di trattamento”, nonché di stabilire “le distanze di rispetto per l’applicazione dei fanghi dai centri abitati, dagli insediamenti sparsi, dai pozzi di captazione delle acque potabili, dei corsi d’acqua superficiali, tenendo conto delle caratteristiche dei terreni (permeabilità, pendenza), delle condizioni meteo climatiche della zona, delle caratteristiche fisiche dei fanghi””;
“l’art. 196 del D.Lgs. n. 152/06 stabilisce, inoltre, che spetta alla Regione la regolamentazione dell’attività di gestione dei rifiuti”,
deve “considerarsi sottratta ai comuni ogni potestà regolamentare in materia di fanghi biologici, restando riservata agli stessi solo la potestà di sanzionare la violazione delle disposizioni regolamentari preventivamente stabilite dalla Regione, ove queste si sostanzino in violazioni della normativa regolamentare in materia di igiene”.
Pertanto, sulla base di tali considerazioni il giudice amministrativo ha statuito che “deve ritenersi illegittimo che il comune, nell’ambito dei propri poteri, detti norme derogatorie sia della disciplina sopra richiamata (ndr. il D.Lgs. 99/92) che delle specifiche norme della Regione Lombardia, di regolamentazione della materia e di delega alle province delle funzioni autorizzative in materia di spandimento di fanghi biologici”.
In conclusione, i comuni non hanno alcuna potestà regolamentare in materia di fanghi di depurazione (cd. fanghi biologici).