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Per cubetti in porfido si intendono i c.d. sanpietrini che rivestono il manto stradale.
Ma quando tali cubetti vengono rimossi dalla strada sono classificabili come rifiuti o sottoprodotti?
Al suddetto quesito ha risposto la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 14746 del 13 maggio 2020.
Nella controversia finita di fronte alla Corte di legittimità, l’indagato chiedeva al Tribunale il riesame del decreto con cui il GIP aveva convalidato il sequestro di un fondo e dei rifiuti ivi depositati eseguito in via d’urgenza dalla polizia giudiziaria, disponendo contestualmente il sequestro preventivo sia dell’area sia dei rifiuti, in relazione al reato di cui all’art. 256 del TUA.
La richiesta di riesame, invero, si basava proprio sulla possibilità di classificare i c.d. “sanpietrini” rimossi dal manto stradale per mezzo dei lavori di manutenzione ordinaria, come sottoprodotti e non come rifiuti in quanto, secondo l’indagato, gli stessi sarebbero stati riutilizzati.
Tuttavia, il Tribunale con ordinanza respingeva la suddetta richiesta, portando l’indagato a ricorrere in Cassazione sostenendo come motivo la violazione dell’art. 606 c.p.p. comma 1, lett. b) et c), per l’errata applicazione dell’art. 256 d.lgs. 152/2006 e la mancanza dei presupposti per disporre il sequestro, sostenendo la qualificabilità come sottoprodotti dei cubetti in porfido rimossi dalla pavimentazione stradale poiché “destinati a essere immediatamente rivenduti o riutilizzati per il medesimo scopo, non mutando la loro natura per la presenza di frammenti di altro materiale, derivanti dal medesimo ciclo produttivo ed eliminabili mediante una semplice pulizia rientrante nella normale pratica industriale, non comportante trasformazioni radicali del materiale trattato, tali da stravolgerne l’originaria natura”.
Ebbene, la Corte di Cassazione, dopo aver ricordato i requisiti per la classificazione come sottoprodotto di cui all’art. 184-bis del TUA ovvero:
a) la sostanza o l’oggetto e originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana;
ha risposto a quanto sostenuto dal ricorrente discostandosi, tuttavia, dalle motivazioni di questo ultimo.
Secondo gli Ermellini, infatti: “[...]la mancanza di certezza in ordine al riutilizzo (desunta, in modo logico, dalla presenza di materiali provenienti da lavori eseguiti nell’anno 2018), unitamente alla necessità di sottoporre i cubetti in porfido, per poterli riutilizzare o commerciare, a delle operazioni di trattamento esulanti dalla normale pratica industriale (cfr. Sez. 3, n. 20886 del 07/02/2013, Loda, Rv. 255771; Sez. 3, n. 42338 del 09/07/2013, Delle Cave, Rv. 257733), in quanto per la separazione da essi dei residui di materiale bituminoso e cementizio non sono chiaramente sufficienti operazioni preliminari di pulitura e lavaggio (occorrendo interventi non marginali, da eseguire con strumenti meccanici e dai quali sono destinati a originarsi non modeste quantità di scarti, cfr. Sez. 3, n. 41533 del 15/12/2016, dep. 12/09/2017, Sbolli, Rv. 271077), escludono che essi, nello stato in cui sono stati rinvenuti, possano essere qualificati come sottoprodotti, con la conseguente correttezza della affermazione del Tribunale della sussistenza di indizi del reato contestato al ricorrente”.
Gli Ermellini, quindi, hanno ritenuto infondato il ricorso ed hanno affermato il principio per cui i cubetti in porfido rimossi dalla strada frammisti a materiale bituminoso e cementizio, non sono sottoprodotti, poiché per il riutilizzo o l’immissione in commercio sono necessarie operazioni di trattamento non marginali e dai quali esitano notevoli scarti, che pertanto esulano dalla normale pratica industriale, venendo così a mancare la condizione di cui all’art. 184-bis comma 1 lett. c) TUA.