I materiali derivanti dalla demolizione possono essere qualificati come sottoprodotti?

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Con la recentissima sentenza del 7 giugno 2019, n. 25316 la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla possibilità di classificare i materiali derivanti da demolizione come rifiuti o sottoprodotti.

In particolare nella Sentenza in commento, l’imputato condannato in secondo grado per il reato di cui all’art. 256 comma 1 lett.a) del TUA per aver depositato in modo incontrollato rifiuti speciali non pericolosi (ovvero nel caso di specie materiale derivante da demolizione), ha proposto ricorso alla corte di legittimità sostenendo la violazione dell’art. 184-bis del D. Lgs. 152/2006 per non aver considerato i materiali in questione sottoprodotti.

L’imputato, infatti, fra gli altri motivi di ricorso presentati, ha sostenuto che i suddetti materiali, essendo stati  reimpiegati in successiva attività edilizia soddisfacevano i requisiti di cui all’art. 184-bis del TUA e che, pertanto, si sarebbero potuti classificare come sottoprodotti e non come rifiuti, in virtù del riutilizzo in un successivo processo di produzione.

La Corte di Cassazione, tuttavia, dopo aver vagliato i motivi proposti dal ricorrente, ha ritenuto il ricorso inammissibile ed ha condannato lo stesso  al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000 in favore della cassa delle ammende.

Gli Ermellini, infatti, oltre a non aver ritenuto sufficienti le prove date dal ricorrente circa il riutilizzo dei materiali in successiva attività edilizia, che a tal fine aveva presentato esclusivamente delle foto del materiale depositato a sostegno del fatto che lo stesso era finalizzato allo spargimento funzionale alla suddetta attività produttiva, hanno negato la possibilità di classificare tali materiali come sottoprodotti, in quanto non sussistenti tutti gli elementi richiesti dall’art. 184-bis del TUA

Come noto, infatti, per potersi parlare di sottoprodotto e non di rifiuto la sopra citata norma prevede determinate condizioni, le quali devono essere tutte necessariamente e contemporaneamente soddisfatte, ovvero:

“a)  la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b)  è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c)  la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d)  l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”.

Ebbene, in merito alla sussistenza delle suddette condizioni la Suprema Corte ha specificato che, oltre al fatto che dei suddetti elementi, quello di cui alla lettera b) relativo al riutilizzo non è stato nemmeno sufficientemente provato dal ricorrente, in caso di materiali da demolizione, non si può considerare rispettato di certo l’elemento di cui alla lettera a) dell’art. 184-bis del TUA relativo all’origine dei materiali.

I materiali da demolizione, per definizione stessa, infatti “non originano da un processo di produzione” come richiesto dalla norma in commento, “bensì dalla demolizione dell’edificio, ovvero attività antitetica alla produzione”, non potendosi pertanto considerare integrato la prima condizione richiesta per la qualifica di sottoprodotto.

In conclusione, quindi, gli Ermellini hanno ribadito l’orientamento già espresso in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. Pen. n. 33028 del 2015) per cui in materia di tutela penale dell’ambiente, l’attività di demolizione di un edificio non può essere definita un “processo di produzione” quale quello indicato dall’art. 184-bis, comma primo, lett. a) del D.Lgs. 152 del 2006, con la conseguenza che i materiali che ne derivano vanno qualificati come rifiuti e non come sottoprodotti.

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