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Il quesito trae origine dalla necessità, di un offerente in una gara di appalto, di comprendere come mitigare e delineare i confini della discrezionalità della Stazione appaltante in un caso di esclusione per gravi illeciti professionali.
Il D.Lgs. 50/2016, anche detto codice appalti, contiene la disciplina dei contratti di appalto e di concessione siglati tra le pubbliche amministrazioni e gli enti di diritto privato aggiudicatari di appalti per lo svolgimento di servizi, forniture, lavori e opere.
Detto Decreto, individua al suo articolo 80, le possibili cause di esclusione da una procedura ad evidenza pubblica e il comma 5 dispone il potere di esclusione in capo alle stazioni appaltanti nei confronti degli operatori economici che si trovino in specifiche situazioni indicate nella norma.
Tra queste, la lettera c) del citato comma 5, prevede la facoltà per la Stazione Appaltante di escludere un operatore economico, previa adeguata dimostrazione, che si sia reso colpevole di gravi illeciti professionali tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità.
Il codice dei contratti pubblici nella sua precedente versione prevedeva all’art. 38 comma 1 lett. f) prevedeva l’esclusione di quegli offerenti che, “secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”.
A tal proposito una recente pronuncia, la sentenza 158 del 2020 della quinta sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata su alcuni aspetti connessi ai motivi di esclusione di un offerente da gara di appalto.
Il grave errore professionale è stato trasposto nell’odierna normativa in grave illecito professionale e su questa definizione il CdS cita anche la normativa europea (Direttiva 2004/18/UE art. 45) per individuarne la corretta dicitura richiamando sempre concetti legati ad una “grave mancanza” o “grave cattiva condotta” nello svolgimento dell’attività professionale.
Il Consiglio di Stato motivando il rigetto del secondo motivo di impugnazione ha precisato che “ai fini dell’esclusione di un concorrente, non è necessario un accertamento definitivo dei pregressi inadempimenti, ma è sufficiente una motivata valutazione dell’amministrazione in ordine agli elementi che denotino una grave negligenza o malafede del concorrente, tale da far ragionevolmente venir meno l’affidabilità e dunque la fiducia nell’impresa. Questa valutazione esprime un potere discrezionale che resta soggetto al controllo e al sindacato giurisdizionale nei soli e consueti limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti”.
La sentenza tuttavia non individua gli elementi posti a fondamento dell’esclusione nel caso di grave illecito professionale o di grave mancanza, lasciando così sempre e comunque una discrezionalità elevatissima in capo alle stazioni appaltanti.
Quanto alle misure autopulenti che può adottare la società (misure di self cleaning) il Consiglio si tuffa in un ginepraio dal quale riemerge mal concio tenendo in mano una distinzione tra misure che definisce di ravvedimento operoso indotto e altre misure straordinarie di gestione sostegno e monitoraggio di imprese.
Sulla base delle conclusioni rassegnate dalla recente pronuncia del Consiglio di Stato, l’adozione del Modello di Organizzazione Gestione e Controllo risulta una misura di self cleaning efficace solo per contrastare il caso di esclusione connesso ai reati presupposto espressamente indicati all’interno dell’art. 80 comma 1 del D.Lgs. 50/2016, non ritenendolo idoneo a evitare l’esclusione causata da gravi illeciti professionali.