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Il provvedimento con cui è stata determinata la tariffa per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, qualora non sia ricavabile alcun elemento idoneo a ricostruire i presupposti di fatto e di diritto in ordine all’aumento della tariffa, è illegittimo?
I Comuni sono competenti a determinare la Tarsu, deliberando delle aliquote differenziate per fasce di utenza e categorie in ragione della maggiore capacità produttiva e quindi contributiva.
La questione, tuttavia, si appunta intorno ai limiti della discrezionalità dell’amministrazione e ci si chiede se sussista un obbligo di motivazione della delibera comunale che determina la tariffa1.
Sotto il profilo normativo la legge del 7 agosto 1990, n. 2412 all’art. 3 afferma che “Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria. 2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale.
All’art. 13 si specifica poi che: “1. Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione”.
Nello specifico il d.lgs del 15 novembre 1993, n. 507, all’art. 69, comma 2 rivendica l’obbligo di motivazione: “Ai fini del controllo di legittimità, la deliberazione deve indicare le ragioni dei rapporti stabiliti tra le tariffe, i dati consuntivi e previsionali relativi ai costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica, nonché i dati e le circostanze che hanno determinato l’aumento per la copertura minima obbligatoria del costo ovvero gli aumenti di cui al comma 3”.
Su tali basi normative la giurisprudenza amministrativa afferma il limite della discrezionalità dei comuni riconoscendo l’obbligo di motivazione della delibera3.
I provvedimenti di determinazione delle tariffe relative alle tasse sui rifiuti, pur avendo natura di atti generali, non ricadrebbero nella sfera applicativa dell’art. 13 della l. n. 241/1990, ma, per il loro carattere di specialità e per le connesse esigenze di garanzia procedimentale rafforzata, soggiacciono alla disciplina dettata dall’art. 69 comma 2, del d.lgs. n. 507/1993, che impone di motivare analiticamente le scelte operate quanto alle ragioni dei rapporti stabiliti tra le tariffe, nonché ai dati ed alle circostanze che hanno eventualmente comportato l’aumento per la copertura minima obbligatoria del costo.
L’Amministrazione è obbligata, quindi, a motivare analiticamente e in modo congruo e comprensibile le scelte espresse nella relativa deliberazione.
Di contro, l’orientamento assolutamente prevalente della giurisprudenza di Cassazione nega l’obbligo di motivazione4 poiché la deliberazione, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolgerebbe ad una pluralità indistinta di destinatari.
In conclusione la giurisprudenza è divisa sull’obbligo di motivazione della tariffa in due grandi filoni, l’uno rappresentato dai tribunali amministrativi che affermano l’obbligo di motivazione e l’altro della Cassazione che lo nega.