Il valore economico di un materiale esclude automaticamente la sua natura di rifiuto?

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Con la recentissima sentenza del 18 novembre 2019, n. 46586 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla possibilità di classificare la c.d. “marmettola” ovvero la polvere esitante dalla attività di estrazione e/o lavorazione del marmo, come rifiuto o sottoprodotto.

In particolare nella Sentenza in commento, gli imputati ritenuti colpevoli in secondo grado per il reato di cui all’art. 256 comma 1 lett.a) del TUA per aver concorso in attività non autorizzata di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi, hanno proposto ricorso alla corte di legittimità sostenendo la violazione dell’art. 184-bis del D. Lgs. 152/2006 per non aver considerato i materiali in questione sottoprodotti.

Nello specifico, infatti, gli imputati, fra gli altri motivi di ricorso presentati, hanno sostenuto che il suddetto materiale, essendo stato rivenduto ad una Società terza al fine di utilizzarlo nella propria attività avente per oggetto la realizzazione di reinterri, riempimenti e simili, soddisfaceva i requisiti di cui all’art. 184-bis del TUA e che, pertanto, si sarebbe potuto classificare come sottoprodotto e non come rifiuto, in virtù del riutilizzo in un successivo processo di produzione.

La Corte di Cassazione, tuttavia, dopo aver vagliato i motivi di ricorso addotti dai ricorrenti, ha ritenuto i ricorsi presentati, separatamente dai condannati ,ma dal medesimo contenuto, infondati.

Gli Ermellini, invero, oltre a non aver ritenuto sufficienti le prove date dai ricorrenti circa l’effettivo riutilizzo da parte della società terza nella propria attività, elemento che la difesa avrebbe sostenuto solo in virtù di quello che è l’oggetto sociale di tale impresa, hanno negato la possibilità di classificare tali materiali come sottoprodotti, anche in virtù dell’ulteriore elemento rappresentato dalla difesa, ovvero il valore economico di tale materiale venduto alla ditta terza.

A tal proposito, infatti, la Suprema Corte ha ricordato che laddove vi sono gli elementi positivi per poter parlare di “rifiuto” e quindi il concetto di oggetto di cui il detentore si disfa, ha l’obbligo o l’intenzione di disfarsi e non vi sono le condizioni, di cui all’art. 184-bis del TUA, ovvero:

“a)  la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b)  è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c)  la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d)  l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”; è irrilevante il valore economico del materiale in questione derivante dal fatto che lo stesso sia stato ceduto a terzi a titolo oneroso.

Secondo il ragionamento seguito dalla Corte, infatti: “si deve evitare di porsi nella sola ottica del cessionario del prodotto, e della valenza economica che allo stesso egli attribuisce (sì da esser disposto a pagare per ottenerlo), occorrendo, per contro, verificare “a monte” il rapporto tra il prodotto medesimo ed il suo produttore e, soprattutto, la volontà/necessità di questi di disfarsi del bene”

Opinare in termini diversi, […]comporterebbe dunque la facile creazione di pericolose aree di impunità, nelle quali numerose condotte oggettivamente integranti una fattispecie di reato ben potrebbero esser dissimulate da accordi - dolosamente preordinati - volti a privare il bene di una particolare qualità, ex se rilevante sotto il profilo penale, invero già “a monte” acquisita ed insuscettibile di esser cancellata”.

In conclusione, quindi, gli Ermellini hanno ribadito l’orientamento già espresso in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. Pen. n. 5442 del 2016) per cui la natura di rifiuto di un materiale o di una sostanza - una volta acquisita in forza di elementi positivi (oggetto di cui il detentore si disfi, abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi, quale residuo di produzione) e negativi (assenza dei requisiti di sottoprodotto, ai sensi dell’art. 184-bis T.U.A.) - non viene meno in ragione del valore economico dello stesso derivante dalla cessione a terzi a titolo oneroso di questo ultimo.

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