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L’attività di campionamento e di analisi ha - di regola - natura amministrativa, ma sempre che sia svolta nell’ambito della normale attività di controllo dell’autorità competente, ossia quando sia diretta soltanto ad accertare la regolarità dell’attività e non sia ancora emersa nessuna notizia di reato.
Da tale procedura vanno tenute ben distinte e separate, come concetto e regola procedurale, le analisi ed i prelievi inerenti non ad una attività amministrativa, bensì ad un’attività di polizia giudiziaria nell’ambito di una indagine preliminare, in ordine alle quali emerge, invece, la regola dell’art. 220. Disp. Att. del codice di procedura penale, il quale sancisce che, ove nel corso di tali attività ispettive emergano indizi di reato, gli atti compiuti per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale, devono essere effettuati nel rispetto della disposizione del codice di procedura penale.
Si rammenta all’uopo la giurisprudenza sulla base della quale “in tema di prelievi di campioni finalizzati all’espletamento di analisi, è necessario distinguere i prelievi e le analisi inerenti alle attività amministrative, ovvero alla normale attività di vigilanza e di ispezione, disciplinati dall’art. 223 disp. Att. c.p.p., dalle analisi e prelievi inerenti invece ad un’attività di polizia giudiziaria nell’ambito di un’indagine preliminare per i quali devono operare le norme di garanzia della difesa in applicazione dell’art. 220 disp. Att. c.p.p.1”.
Ciò determina che se nel corso dei controlli – anche di natura amministrativa – emergano notizie di reato, occorre distinguere a seconda che l’organo amministrativo operante rivesta – o meno - anche la qualifica di polizia giudiziaria. Solo nel primo caso, infatti, opereranno gli obblighi e i poteri di proseguire attraverso le formalità del codice di rito.
Viceversa, nel caso in cui gli organi procedenti non abbiano tale qualifica - svolgendo gli stessi una mera attività amministrativa di ispezione o di vigilanza - dovranno sospendere l’accertamento dell’illecito penale e dovranno trasmettere, nella loro qualità di incaricati di pubblico servizio, denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p, dovendo tuttavia astenersi da ulteriori attività che in tale caso esorbiterebbero dalle proprie competenze.
A tal proposito si rammenta, infatti, che ai sensi dell’art. 135, co. 2 del TUA viene previsto che “Fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini della sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall’inquinamento provvede il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.); può altresì intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardia di finanza e la Polizia di Stato. Il Corpo delle capitanerie di porto, Guardia costiera, provvede alla sorveglianza e all’accertamento delle violazioni di cui alla parte terza del presente decreto quando dalle stesse possano derivare danni o situazioni di pericolo per l’ambiente marino e costiero”.
È evidente, pertanto, che la repressione degli illeciti penali è riservata agli organi di polizia giudiziaria a prescindere di quale sia l’autorità competente ai controlli amministrativi stabiliti nella convenzione di gestione.
Ogni attività svolta per accertamenti penali, infatti, dovrà considerarsi come atto di indagine, necessitante di peculiari formalità proprie del diritto processuale penale che non possono essere anticipate o sostituite da tali controlli amministrativi.
In conclusione, l’attività di campionamento e di analisi ha, almeno normalmente, natura amministrativa, ma sempre che sia diretta esclusivamente ad accertare la regolarità della attività e non sia ancora emersa nessuna notizia di reato. La repressione degli illeciti penali, infatti, è riservata agli organi di polizia giudiziaria a prescindere di quale sia l’autorità competente ai controlli amministrativi stabiliti nella convenzione di gestione.