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L’art. 74, comma 1 let. ff), D. Lgs. 152/2006 definisce lo scarico come:
“qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, nel suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acqua e previsti all’articolo 114”.
In tale quadro, la nozione di scarico risulta essere del tutto indipendente dalla natura inquinante dell’immissione che la costituisce.
Ed invero, solo le ipotesi di immissione di cui all’art. 114, D. Lgs. 152/2006 - in base al combinato disposto con quanto previsto dall’ultimo periodo dell’art. 74, comma 1, lett ff) - sono sottratte alla disciplina degli scarichi.
Tale disposizione prevede che:
“Le regioni, previo parere del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, adottano apposita disciplina in materia di restituzione delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica, per scopi irrigui e in impianti di potabilizzazione, nonché delle acque derivanti da sondaggi o perforazioni diversi da quelli relativi alla ricerca ed estrazione di idrocarburi, al fine di garantire il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualità di cui al titolo II della parte terza del presente decreto”.
Ebbene, da tale definizione risulta evidente come le acque del processo di demineralizzazione non rientrino nelle ipotesi di restituzione di acque cui all’art. 114, D. Lsg. 152/2006 e devono quindi essere assoggettate alla disciplina degli scarichi.
Dalla qualifica di un refluo come scarico deriva che, in base a quanto disposto dall’art. 124, D. Lgs. 152/2006, esso debba sempre essere preventivamente autorizzato, secondo quanto disposto dalla parte IV del Testo Unico Ambientale.
Per ciò che concerne quindi la natura dello scarico l’art. 74, lett. h) del D. Lgs. de 3 aprile 2006, n. 152 definisce come acque reflue industriali:
“qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento”.
La nozione in commento è il frutto della modifica apportata all’art. 74 dal D. Lgs. del 16 gennaio 2008, n. 4. Nella versione originaria la norma parlava non semplicemente di acque provenienti da attività commerciali o di produzione di beni, ma richiedeva anche che le stesse fossero “qualitativamente diverse” dalle acque reflue domestiche e meteoriche. Nel 2008 tale inciso è stato definitivamente rimosso dalla definizione di refluo industriale.
Ne deriva che, al fine di stabilire la natura industriale di un refluo non sono determinanti le sue caratteristiche intrinseche, bensì piuttosto il fatto che lo stesso sia scaricato da un impianto in cui si svolga un’attività industriale che lo stesso sia diverso dalle acque domestiche ovvero meteoriche.
Per acque reflue domestiche si intendono: “acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche”.
Viceversa, il T.U.A. non fornisce una definizione normativa di acque meteoriche e rimette la disciplina di tale tipologia di scarichi in capo alle Regioni. Nondimeno, si parla tipicamente di acque meteoriche con riferimento alle acque piovane non contaminate.
In tale quadro, le acque di scarto del processo di demineralizzazione non possono essere ricondotte al metabolismo umano o comunque ad attività domestiche, né alla nozione di acque meteoriche, al contrario le stesse sono il frutto di un’attività di processo.
Alla luce della nozione di scarico e delle richiamate definizioni, le acque di scarto del procedimento di demineralizzazione devono essere qualificate come scarico industriale e assoggettate alla relativa disciplina autorizzativa.