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Ai sensi dell’art. 101, comma 7 del d.lgs n. 152/06, salvo quanto previsto dall’articolo 112, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue:
a) provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del terreno e/o alla silvicoltura;
b) provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame;
c) provenienti da imprese dedite alle attività di cui alle lettere a) e b) che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità;
d) provenienti da impianti di acqua coltura e di piscicoltura che diano luogo a scarico e che si caratterizzino per una densità di allevamento pari o inferiore a 1 Kg per metro quadrato di specchio d’acqua o in cui venga utilizzata una portata d’acqua pari o inferiore a 50 litri al minuto secondo;
e) aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale;
f) provenienti da attività termali, fatte salve le discipline regionali di settore”.
La previsione, così come modificata dall’art. 2, comma 8 del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 non presenta più la specificazione “che, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano l’utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all’articolo 112, comma 2, e che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto”.
La Cassazione1 ha chiarito che l’attuale normativa ha parificato, senza limitazioni, alle acque reflue domestiche le acque reflue provenienti dall’attività di allevamento del bestiame.
Mentre, infatti, con la normativa pregressa le acque reflue provenienti da una attività di allevamento del bestiame andavano considerate, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, come acque reflue industriali e solo eccezionalmente potevano essere assimilate, ai detti fini, alle acque reflue domestiche, qualora vi fosse la prova della connessione del terreno agricolo con le attività di allevamento, nell’attuale assetto normativo l’assimilazione prevista dell’art. 101, comma 7, delle acque reflue domestiche a quelle provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame, diviene la regola.
Si ritiene, pertanto, sanzionato solo in via amministrativa, ai sensi del d.lgs. 152/06, art. 133, comma 2, lo scarico senza autorizzazione degli effluenti di allevamento.
L’unica eccezione rimane quella menzionata dallo stesso comma 7, relativa all’applicabilità dell’art. 1122, che regola l’utilizzazione agronomica. Cosicché continua a mantenere rilevanza penale la sola utilizzazione agronomica- così come definita dall’art. 74, comma 1 lett. p)3 del d.lgs. n. 152/2006 - nelle ipotesi in cui la stessa avvenga al di fuori dei casi o dei limiti consentiti.
La lettura della giurisprudenza si orienta a riconoscere che la normativa attualmente vigente stabilisca di regola l’assimilabilità delle acque reflue provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame alle acque reflue domestiche ai fini della disciplina degli scarichi e lo scarico senza autorizzazione e che ciò comporti che lo scarico senza autorizzazione non è più previsto dalla legge come reato, ma integra l’illecito amministrativo previsto dall’art. 133, comma secondo, del d.lgs. n. 152/064.
In conclusione può affermarsi che le acque reflue provenienti dalle imprese dedite all’allevamento del bestiame sono assimilate alle acque reflue domestiche.