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La linea di confine tra l’applicazione della disciplina sugli scarichi (di cui alla Parte III del Testo Unico Ambientale) e quella sui rifiuti (di cui alla Parte IV del medesimo TUA), risiede nell’esistenza di un sistema stabile di collettamento, in grado di convogliare il refluo direttamente nel corpo recettore.
Il caso di specie vede un’azienda enologica, immettere senza autorizzazione nel corpo ricettore acque reflue industriali (provenienti cioè dai suoi processi produttivi), provenienti dalla vasca di stoccaggio annessa allo stabilimento, per il tramite di un semplice tubo in pvc.
La questione ruota dunque attorno alla questione se, detta soluzione, sia di per se sufficiente a integrare quel “sistema stabile di collettamento” richiesto dalla normativa vigente.
Propendere per una risposta affermativa infatti consentirebbe all’azienda di accedere alla fattispecie contravvenzionale più favorevole di cui all’art. 137 del TUA (scarico non autorizzato), invece di essere condannata per la fattispecie ben più grave di cui all’articolo 256 comma 1 lett. a) del TUA (attività di gestione di rifiuti non autorizzata).
Ebbene, secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza più recente, la condotta sopra descritta, caratterizzandosi come soluzione del tutto improvvista e rudimentale è inidonea a ricondurre l’attività dell’azienda tra quelle di scarico, configurandosi piuttosto un’attività di smaltimento di rifiuti.
La Corte di Cassazione, con sentenza 29 maggio 2020 n. 16450 ribadisce infatti che: “possa parlarsi di scarico unicamente quando la immissione sia effettuata direttamente tramite condotta, nozione che viene arricchita con il riferimento a un sistema stabile di raccolta che collega il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore, e ulteriormente precisata nel senso che il collegamento non deve presentare soluzioni di continuità”.
Il meccanismo che vede l’immissione tramite un semplice tubo in PVC “presentandosi come soluzione del tutto improvvisata e rudimentale [si presenta ] come inidonea a rendere la condotta posta in essere attività di scarico delle acque piuttosto che di smaltimento di rifiuti”.
Nel momento in cui si procede allo scarico mediante mezzi occasionali e improvvisati, si rischia dunque l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 256 comma 1 lettera a), punita con:
a. la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b. con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
Si evidenzia a tal proposito – come rilevato anche nella sopra citata sentenza – che l’applicazione congiunta della pena dell’arresto e dell’ammenda non è corretta, trattandosi di pene alternative, come emerge dalla stessa norma, mediante l’utilizzo della disgiuntiva “o”.
Il reato di cui all’articolo 256, comma 1, lett. a) si configura anche come reato presupposto per l’applicazione delle “sanzioni 231”, con la possibile applicazione di una ulteriore sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote (art. 25-undecies D.Lgs 231/2001).
In definitiva, un tubo in pvc o altro mezzo che palesa evidenti caratteristiche di occasionalità e improvvisazione non configura quel “sistema stabile di collettamento” necessario per aversi uno scarico, con la conseguenza che si rientra nel campo di applicazione della normativa sui rifiuti.