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Se analizziamo la normativa italiana e ci poniamo la questione in ambito nazionale ci troviamo in ogni caso a confrontarci con la normativa dell’Unione e a doverla leggere e capire.
Vi era un tempo in cui il decreto legge del 24 giugno 2014, n. 91, coordinato con la legge di conversione dell’11 agosto 2014, n. 116 , all’art. 13 comma 5 b-bis), stabiliva in Premessa delle regole rigide per la classificazione e con esse la presunzione di pericolosità in caso di dubbio1.
Ciò fin quando il decreto legge del 20 giugno 2017, n. 91, convertito in legge del 3 agosto 2017, n. 123, all’art. 9 neutralizzava l’intera premessa all’allegato D, indicando quale riferimento la normativa europea2.
La questione del criterio da seguire nelle analisi di laboratorio che vede l’intrecciarsi della presunzione di pericolosità con l’idea di una certezza o una probabilità nelle analisi è complessa3.
Per fortuna abbiamo una interpretazione autentica delle fonti europee con la decima sezione della Corte di giustizia che si pronuncia sull’argomento con sentenza del 28 marzo 2019, cause riunite da C‑487/17 a C‑489/17.
Innanzitutto la certezza delle analisi non può essere assoluta, ma neanche discrezionale: si devono ricercare quelle che possano ragionevolmente trovarvisi. Si deve seguire un’adeguata caratterizzazione dei rifiuti, basata prima sull’accertamento della loro esatta composizione e, successivamente, sulla verifica della pericolosità delle sostanze così individuate. Quindi una certezza ragionevole.
Per venire al quesito posto, a fronte della impossibilità di determinare con certezza l’assenza di sostanze pericolose in tale rifiuto, la Corte di giustizia chiarisce che il principio di precauzione deve essere interpretato nel senso che, qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta, quest’ultimo deve essere classificato come rifiuto pericoloso.
Gli Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti del 9 aprile 20184, al capitolo 3.2 chiariscono che “se le informazioni raccolte sulla composizione dei rifiuti (tenendo conto di tutte le opzioni di cui sopra) non consentono di trarre conclusioni o valutare le caratteristiche di pericolo presentate dai rifiuti, né mediante calcolo, né mediante l’esecuzione di prove sui rifiuti in linea con la seguente fase 4, l’operatore prende in considerazione la possibilità di classificare i rifiuti come pericolosi (se necessario previa consultazione con l’autorità competente)”.
In conclusione qualora il detentore a fronte di un rifiuto identificato con codice speculare si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo il deve essere classificato come rifiuto pericoloso.