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L’art. 183, comma 1, lett. q), D. Lgs. 152/2006 definisce il riutilizzo come: “qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti”.
Il riutilizzo è un’operazione che riguarda esclusivamente beni, i quali non sono mai diventati rifiuto. Per l’effetto, essi non sono assoggettati alla stringente normativa contenuta nella parte IV del Codice Ambientale per ciò che concerne la raccolta, il trasporto e le operazioni di gestione.
Con particolare riferimento ai di centri di riuso, l’art. 180-bis, D. Lgs. 152/2006 prevede che:
I Comuni possono individuare appositi spazi, presso i centri di raccolta di cui all’art. 183, comma 1, lettera mm)1, per l’esposizione temporanea, finalizzata allo scambio tra privati, di beni usati e funzionanti direttamente idonei al riutilizzo.
Nei centri di raccolta possono altresì essere individuate apposite aree adibite al deposito preliminare alla raccolta dei rifiuti destinati alla preparazione per il riutilizzo e alla raccolta di beni riutilizzabili.
Nei centri di raccolta possono anche essere individuati spazi dedicati alla prevenzione della produzione di rifiuti, con l’obiettivo di consentire la raccolta di beni da destinare al riutilizzo, nel quadro di operazioni di intercettazione e schemi di filiera degli operatori professionali dell’usato autorizzati dagli enti locali e dalle aziende di igiene urbana.
La norma pensa quindi i centri del riuso come delle aree adiacenti ai centri di raccolta, che possono consistere tanto in aree di scambio di beni involgenti solo i privati ovvero come semplici aree di deposito anche relative a schemi di filiera di operatori professionali. La legge non richiede espressamente l’ottenimento di un’autorizzazione. Nondimeno, ad oggi detta disciplina è priva di provvedimenti attuativi a livello nazionale. Pertanto, per valutare la necessità di un’autorizzazione, è imprescindibile l’analisi delle disposizioni emanate a livello Regionale.
Sul punto, l’Emilia Romagna ha emanato la L. R. del 5 ottobre 2016, n. 16 recante “Disposizioni a sostegno dell’economica circolare, della riduzione della produzione dei rifiuti urbani, del riuso dei beni a fine vita, della raccolta differenziata e modifiche alla legge regionale 19 agosto 1996, n 31”.
L’art. 3, commi 11 e 12 della medesima legge rimette in capo alla Regione il potere di promuove i centri comunali per il riuso, quali strutture dove portare i beni di cui il possessore non intende più servirsi, ma ancora suscettibili di vita utile, nelle condizioni in cui sono o tramite ripristino funzionale, attraverso pulizia, smontaggio, riparazione o altra manutenzione atta al loro reimpiego.
I Comuni disciplinano il funzionamento dei centri e le relative modalità di accesso, le modalità di cessione, gratuita od onerosa, senza finalità di lucro, dei beni, le modalità di copertura dei costi di gestione nonché la destinazione di eventuali introiti.
In tale quadro, la gestione del centro dovrà essere oggetti di Accordo con il Comune interessato in armonia con quanto disposto delle Linee Guida applicative della legislazione regionale, approvate con la D.g.r. 279/2017.
Inoltre la delibera di Giunta Regionale 1240/2016 ha previsto l’istituzione di un Elenco Regionale dei centri del riuso in cui preesistenti e nuovi centri devono essere iscritti.
Alla luce di quanto esposto, la normativa di legge nazionale non prevede espressamente la necessità di un’autorizzazione per l’apertura di un centro di riuso. Tuttavia, in assenza di disciplina applicativa, è imprescindibile fare riferimento alla normativa Regionale pertinente. Sul punto la Regione Emilia Romagna ha previsto l’iscrizione in apposito Elenco e l’Accordo con il Comune interessato per le modalità di gestione.