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L’immersione in mare di materiale trova disciplina all’articolo 109 del Codice Ambientale, D. Lgs. del 3 aprile 2006, n. 152.
In particolare detta norma consente l’immersione deliberata in mare da navi ovvero aeromobili e da strutture ubicate nelle acque del mare o in ambiti ad esso contigui - quali spiagge, lagune e stagni salmastri e terrapieni costieri - dei seguenti materiali:
- materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi;
- inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità e l’innocuità ambientale;
- materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l’attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri.
In particolare, per ciò che concerne l’ipotesi sub a), la norma richiede che l’operazione di immersione sia autorizzata con provvedimento rilasciato dalla Regione, fatta eccezione per gli interventi ricadenti in aree protette nazionali di cui alle leggi 31 dicembre 1982, n. 979 e 6 dicembre 1991, n. 394, per i quali è rilasciata dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
La citata autorizzazione deve essere rilasciate in conformità alle modalità stabilite con decreto del predetto Ministero, adottato di concerto con altri ministeri ed enti specificamente indicati
In merito, è stato emanato il D.M. del 15 luglio 2016, n. 173 “modalità e criteri tecnici per l’autorizzazione all’immersione in mare dei materiali di escavo di fondali marini” il quale regolamenta le modalità per il rilascio dell’autorizzazione ma esclude dal suo ambito di operatività gli spostamenti in ambito portuale così come definiti all’articolo 2 del decreto medesimo.
Più nello specifico, secondo l’articolo 2, lett. f) D.M. 173/2016 gli “spostamenti in ambito portuale” consistono nella “movimentazione dei sedimenti all’interno di strutture portuali per le attività di rimodellamento dei fondali al fine di garantire l’agibilità degli ormeggi, la sicurezza delle operazioni di accosto ovvero per il ripristino della navigabilità, con modalità che evitino una dispersione dei sedimenti al di fuori del sito di intervento”.
In tale quadro occorre chiarire se, gli spostamenti in ambito portuale siano sempre esclusi da autorizzazione.
Sul punto si è di recente pronunciata la sentenza della Cassazione Penale, Sez. III, del 12 novembre 2019, n. 45844 secondo cui “la fattispecie dello “spostamento” di sedimenti in ambito portuale, deve essere costruita come descrittiva di un’attività connotata dal ridotto impatto ambientale. Solo tale intrinseca caratteristica giustifica l’esclusione dal regime autorizzatorio di cui all’art. 109 comma 2 Dlgs. 152/06 il quale, data la notevole incidenza ambientale delle attività da esso contemplate, si connota per un’articolata procedura di progettazione, delimitazione delle aree interessate, individuazione delle quantità di materiali movimentati, campionamento e analisi delle zone di escavo, delineata con il citato DM 173/2016”.
Ne deriva che, al fine di valutare se uno spostamento di sedimenti portuali debba o meno essere oggetto di autorizzazione occorre tenere in debita considerazione i seguenti dati:
- il limitato quantitativo di materiale coinvolto;
- la permanenza dei sedimenti sul medesimo sito di rinvenimento;
- la esclusiva finalizzazione, non meramente formale ma sostanziale, degli “spostamenti” in parola, verso gli obiettivi indicati dall’art. 2 lett. f) citato (l’agibilità degli ormeggi, la sicurezza degli accosti, il ripristino della navigabilità).
Invero, solo uno spostamento che rispetti detti requisiti non necessita dell’autorizzazione della regione, prescritta dall’art. 109, comma 2 TUA.
Alla luce di quanto esposto, lo spostamenti di materiali di scavo in ambito portuale non è soggetto ad autorizzazione nella misura in cui, consista in movimentazione di un limitato quantitativo di sedimenti, all’interno di strutture portuali, per le attività di rimodellamento dei fondali al fine di garantire l’agibilità degli ormeggi, la sicurezza delle operazioni di accosto ovvero per il ripristino della navigabilità, con modalità che evitino una dispersione dei sedimenti al di fuori del sito di intervento.