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Il caso in esame comporta il rimando all’art. 256-bis del D.Lgs. 152/2006 (Testo Unico Ambientale) il quale prevede una reclusione:
- da due a cinque anni per chiunque appicca il fuoco a rifiuti non pericolosi abbandonati o depositati in maniera incontrollata;
- da tre a sei anni per rifiuti pericolosi.
Unitamente alla reclusione è previsto inoltre a carico dell’autore della condotta ovvero del soggetto ritenuto responsabile:
- il ripristino dello stato dei luoghi;
- il risarcimento del danno ambientale;
- il pagamento delle spese di bonifica anche in via di regresso (nei confronti degli altri condebitori).
Fin qui, come si dice, nulla quaestio, ciò che genera perplessità è il comma 3 del citato articolo 256 bis del Testo Unico Ambientale il quale prevede che “la pena è aumentata di un terzo se il delitto di cui al comma 1 è commesso nell’ambito dell’attività di un’impresa o comunque di un’attività organizzata. Il titolare dell’impresa o il responsabile dell’attività comunque organizzata è responsabile anche sotto l’autonomo profilo dell’omessa vigilanza sull’operato degli autori materiali del delitto comunque riconducibili all’impresa o all’attività stessa; ai predetti titolari d’impresa o responsabili dell’attività si applicano altresì le sanzioni previste dall’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”.
Il comma 3 dell’articolo in esame prevede dunque che nel caso in cui la combustione avvenga nell’ambito di un’attività organizzata d’impresa la pena debba essere aumentata di un terzo e che il titolare dell’impresa o il delegato dell’attività (si pensi al delegato ambientale) sia autonomamente responsabile per omessa vigilanza con applicazione delle sanzioni previste dall’art. 9 comma 2 del D.Lgs. 231/2001 (sanzioni interdittive).
Sul punto occorre precisare che le sanzioni 231 vengono comminate in presenza di una responsabilità autonoma rispetto a quella della persona fisica autrice del reato ed eventualmente concorrente con la responsabilità dell’autore dell’illecito.
Contrariamente a quanto ora esposto, l’art. 256 bis del TUA al comma 3 prevede l’applicazione delle sanzioni interdittive nei confronti di un soggetto persona fisica, sebbene investito del ruolo di titolare dell’impresa o del responsabile ambientale in cui è avvenuta l’illecita combustione di rifiuti.
Sotto diverso aspetto, la norma risulta ancorata ad una visione arcaica della natura della responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato (responsabilità 231), in quanto detta responsabilità non è limitata alla sola responsabilità per omessa vigilanza dovendo invece intendersi responsabile un soggetto apicale il quale non abbia fatto tutto quanto in suo potere per evitare il verificarsi di una condotta fraudolenta o, peggio, abbia incentivato o realizzato detto illecito.
Sul punto la Relazione di accompagnamento al Decreto 231 in commento, all’art. 6 (soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente), ha previsto che “i criteri di imputazione soggettiva nel caso di reato commesso dagli apici: … l’ente dovrà dimostrare che il comportamento integrante il reato sia stato posto in essere dal vertice eludendo fraudolentemente i suddetti modelli di organizzazione e di gestione.
[…] affinché venga meno la responsabilità dell’ente, non è sufficiente che ci si trovi di fronte ad un apice infedele; si richiede che non sia ravvisabile colpa alcuna da parte dell’ente stesso, il quale -attraverso il suo organismo- deve avere vigilato anche sull’osservanza dei programmi intesi a conformare le decisioni del medesimo secondo gli standard di legalità preventiva”.
Se la condotta è realizzata da un soggetto sottoposto all’altrui direzione, allora si ha responsabilità d’impresa per omessa vigilanza.
In risposta al quesito posto quindi occorre annoverare tra le sanzioni cui il titolare di un’impresa è soggetto ai sensi dell’art. 256 bis del TUA anche le sanzioni interdittive previste dall’art. 9 comma 2 del D.Lgs. 231/2001 oltre alla reclusione.
Sanzione interdittiva che tuttavia risulta fortemente opinabile non solo per le considerazioni di merito esposte in narrativa ma anche e soprattutto per l’assenza dell’art. 256 bis del TUA tra i reati presupposto indicati nell’art. 25 undecies del D.Lgs. 231/2001.