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La Corte di Cassazione, nella recente sentenza del 21 maggio 2020, n. 15575 è tornata a pronunciarsi in materia di qualificazione del fatto come reato di discarica abusiva.
Nel caso di specie, invero, un soggetto privato, è stato condannato in secondo grado alla pena di anni 1 e mesi sei di reclusione ed Euro 20.000 di multa per il reato di cui all’art. 6, comma 1, lett. e) della Legge del 30 dicembre 2008, n. 210 recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, recante misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché misure urgenti di tutela ambientale”.
Ai sensi della suddetta norma, infatti: “chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni e con la multa da ventimila euro a sessantamila euro. Si applica la pena della reclusione da due a sette anni e della multa da cinquantamila euro a centomila euro se la discarica è destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi; alla sentenza di condanna o alla sentenza pronunciata ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale consegue la confisca dell’area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell’autore del reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi”.
A fronte di tale statuizione tuttavia, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo, fra gli altri motivi, l’erronea qualificazione del fatto come discarica abusiva piuttosto che come deposito incontrollato di rifiuti.
Ebbene, la Suprema Corte, nel rispondere alla pretesa avanzata dal condannato ha ribadito una serie di concetti in materia di qualificazione del fatto di reato come discarica abusiva.
Nello specifico gli Ermellini hanno sottolineato che elementi come “l’accumulo e l’utilizzo dei rifiuti nonché le attività di sbancamento compiute, con i conseguenti livellamenti del terreno e le tracce delle movimentazioni dei mezzi meccanici (finalizzate alle opere di sistemazione, per così dire, del sito) nell’ampia area (4500 metri quadrati) di riferimento dell’imputato” non possono che ricondurre all’illecito della discarica non autorizzata sottolineando anche che: “in tema di deposito incontrollato di rifiuti, ove esso si realizzi con plurime condotte di accumulo, in assenza di attività di gestione, la distinzione con il reato di realizzazione di discarica non autorizzata si fonda principalmente sulle dimensioni dell’area occupata e sulla quantità dei rifiuti depositati” caratteristica senza dubbio presente nel caso di specie data la vastità dell’area incriminata (4500 metri quadrati).
I Giudici, infine, hanno colto l’occasione anche per ribadire che: “il concetto di gestione di una discarica abusiva deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi contributo, sia attivo che passivo, diretto a realizzare od anche semplicemente a tollerare e mantenere il grave stato del fatto-reato, strutturalmente permanente”.
In conclusione, quindi, la Corte di Cassazione ha ritenuto infondato tale motivo di ricordo presentato dall’imputato ed ha nuovamente confermato il principio di diritto per cui “devono ritenersi sanzionate non solo le condotte di iniziale trasformazione di un sito a luogo adibito a discarica, ma anche tutte quelle che contribuiscano a mantenere tali, nel corso del tempo, le condizioni del sito stesso”.