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Il Documento di Trasporto, come previsto dalla normativa civilistica, svolge la funzione di documentare e certificare le operazioni rilevanti ai fini IVA, ed è pertanto soggetto alla disciplina di tenuta e conservazione delle contabilità1 di cui al codice civile.
In particolare, l’art. 2220 c.c. prevede, in materia di conservazione, che le scritture debbano essere conservate per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione.
Diversamente il DDT di cui al nuovo 19 dell’art. 193 TUA, non assolve alcun obbligo di certificazione rispetto ad operazioni rilevanti ai fini contabili, ma è alternativo rispetto al Formulario di Identificazione dei Rifiuti.
In altri termini, lo scopo del DDT in commento è quello di sostituirsi al FIR, tracciando il rifiuto sin dal luogo di effettiva e materiale produzione a quello di giuridica produzione ove sarà collocato in deposito temporaneo e registrato, garantendo, così, che non si perda l’effettiva provenienza del rifiuto.
Pertanto, a parere di chi scrive, potrà essere validamente applicata la disciplina sulla tenuta e la conservazione del FIR, di cui all’art, 193 TUA in relazione all’art. 190, posto che il DDT servirà a dimostrare la regolarità delle operazioni di carico dei rifiuti a deposito temporaneo.
Ne deriva, quale logico corollario che le copie del DDT dovranno essere conservate per tre anni dal momento del trasporto (rectius della movimentazione derogatoria) unitamente al registro di carico e scarico.
Alla luce di quanto sopra, secondo una interpretazione strettamente letterale e garantista, al DDT dovrà essere applicato il regime di conservazione delle scritture contabili (dieci anni), mentre secondo una interpretazione estensiva, analogica e orientata alla reale funzione del DDT in commento, sarà sufficiente applicare la disciplina di conservazione del FIR che il DDT va appunto a sostituire.