Sansa di olive asciugata e essiccata: rifiuto o sottoprodotto?

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Come noto, per potersi parlare di sottoprodotto e non di rifiuto l’art. 184-bis del TUA prevede determinate condizioni, ovvero:

“a) a sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”.

Posto che per normale pratica industriale deve intendersi l’insieme di tutti quei trattamenti o interventi, che non incidono o fanno perdere al materiale la sua identità e le caratteristiche merceologiche che esso già possiede - come prodotto industriale o come sottoprodotto – ma che si rendono utili o funzionali per il suo ulteriore e specifico utilizzo1, la corte di Cassazione, nella recente sentenza del 1 febbraio 2019, n.4952 è tornata a pronunciarsi sull’ampiezza di tale concetto in relazione alla possibilità di ricomprendervi anche le operazioni di asciugatura ed essiccazione della sansa di olive.

Nel caso di specie, infatti, veniva scoperto che in un magazzino “erano custoditi circa duecento sacchetti da 25 chilogrammi l’uno contenenti sansa e ulteriori venti quintali sfusi sempre contenenti sansa, evidentemente asciugata o in attesa di essicazione, per cui il giudice di primo grado ha condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 256 comma 1 lett.a)2 per aver posto in essere una attività di raccolta di rifiuti speciali non pericolosi, desunta proprio dalle modalità di presentazione delle stesse sanse”.

L’imputato proponeva Appello verso la suddetta sentenza, poi convertito in ricorso in Cassazione ai sensi dell’art. 568 c.p.p., data l’inappellabilità della sentenza, sostenendo l’errata qualificazione giuridica della condotta dal momento “che la sansa di olive non si sarebbe dovuta considerare come rifiuto in quanto la stessa era destinata ad essere riutilizzata come consentito ai sensi dell’art. 184-bis lett. b) del D. Lgs. n. 152 del 2006 e che il frantoio di provenienza della sansa, essendo di tipologia tradizionale a tre fasi avrebbe realizzato un prodotto asciutto e compatto che non avrebbe necessitato di alcun ulteriore trattamento, né simile né diverso dalla pratica industriale motivo per cui la sansa in deposito presso il magazzino avrebbe dovuto essere qualificata quale sottoprodotto e non come rifiuto”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, valutando gli accertamenti posti in essere nel giudizio primo grado ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di prime cure il quale ha ritenuto la sansa di olive asciugata ed essiccata rifiuto poichè non utilizzata direttamente dal produttore, ma sottoposta a trasformazione preliminare (asciugatura ed essicazione) e, dunque, non rientrante nella nozione di sottoprodotto ex art. 184-bis del TUA ed ha dichiarato il ricorso inammissibile condannando l’imputato al pagamento delle spese processuali.

In conclusione, quindi, gli Ermellini hanno ribadito l’orientamento interpretativo per cui il procedimento di asciugatura ed essiccazione della sansa deve essere considerato un trattamento diverso dalla normale pratica industriale con conseguente riconducibilità appunto della sansa stessa, nella categoria dei rifiuti.


1 Si veda sul punto, Quesito non rifiuti, in Ambiente Legale Digesta, settembre-ottobre 2016.

2 Art. 256 (Attività di gestione di rifiuti non autorizzata) comma 1, lett. a) del TUA: “Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208209210211212214215 e 216 è punito: a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi”.

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