Se colloco del materiale edile di risulta in un’area recintata, posso escluderne la natura di rifiuto?

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Il suddetto quesito trae spunto da una vicenda che, al termine della fase di merito di giudizio, ha visto condannato ai sensi dell’art. 256 (Attività di gestione di rifiuti non autorizzata) del D. Lgs. 152 del 2006, alla pena di 15.000,00 euro di ammenda, un soggetto privato, per aver ripetutamente effettuato attività di trasporto di rifiuti, costituiti da materiali edili di risulta, in un’area (di cui vantava anche un titolo all’utilizzo della stessa) situata nei pressi di una pineta recintata e chiusa da un cancello.

Contro la suddetta sentenza, quindi, l’imputato ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione sostenendo, fra gli altri motivi, l’erroneità della statuizione del giudice di merito in quanto la sua condotta non poteva essere qualificata ai sensi dell’art. 256 (Attività di gestione di rifiuti non autorizzata) del Testo Unico Ambientale, poiché il materiale in questione (materiale edile di risulta) non poteva essere classificato come “rifiuto”.

Secondo la tesi difensiva prospettata, infatti, la classificazione del materiale come rifiuto, “contrastava con la circostanza che l’area fosse delimitata da un cancello chiuso con catena un lucchetto, indice del fatto che l’imputato li avesse solo temporaneamente ivi collocati, e che comunque disponesse di un titolo all’utilizzo dell’area”.

In tal modo, pertanto, l’imputato riteneva di dimostrare che i materiali da lui trasportati non potessero essere considerati “rifiuti” in quanto non si poteva dire che lo stesso intendeva disfarsi di tali oggetti, ma solo collocarli temporaneamente nel terreno di cui era proprietario, chiuso con tanto di catena e lucchetto.

Gli Ermellini, tuttavia, non hanno condiviso la tesi difensiva avanzata dal ricorrente con riguardo alla impossibilità di classificare i materiali edili di risulta come rifiuti sancendo il proprio orientamento nella sentenza del 17 luglio 2020, n. 21289.

La Suprema Corte, infatti, ha sottolineato che “la nozione di rifiuto, desumibile dalla formulazione dell’art. 183, comma 1, lett. a), del testo unico attualmente vigente, comprende “qualsiasi sostanza o oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.” Sicché, per la relativa definizione deve farsi esclusivo riferimento al concetto di abbandono, utilizzato dal legislatore nella disposizione citata. [...] deve in ogni caso osservarsi che non è la recinzione o la chiusura dell’area sulla quale sono stati sversati i rifiuti ad escludere la volontà di disfarsene  la quale va al contrario improntata al criterio oggettivo della destinazione naturale del bene all’abbandono, logicamente desunta dal Tribunale campano dalle contingenze concrete, ovverosia dalla circostanza che si trattasse di una superficie “fino a poco tempo prima del tutto intatta, benché da tempo sostanzialmente abbandonata” e dall’accumularsi del materiale ivi riversato nel tempo [...]”.

In conclusione, quindi, la collocazione di materiale edile di risulta in una area recintata e di cui si possiede un titolo per l’utilizzo della stessa, non è sufficiente ad escludere la natura di rifiuto dello stesso in quanto, se dalle evidenze concrete (nel caso di specie l’area era in precedenza abbandonata e si stava verificando l’accumulo del materiale nel tempo) emerge la chiara intenzione di disfarsi degli stessi.

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