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L’interrogativo nasce dalla stratificazione normativa che ha investito, nel corso degli anni, la regolamentazione delle terre e rocce da scavo, tra cui a titolo esemplificativo si ricordano:
- il DM 10 agosto 2012 n. 161;
- gli artt.184-bis e 266 del D.Lgs 152/2006;
- l’art. 3 del DL 25 gennaio 2012 n. 2;
- gli artt. 41 e 41-bis del DL 21 giugno 2013 n. 69
- ed infine il DPR 13 giugno 2017 n. 120, ad oggi tuttora vigente.
Tali susseguirsi di norme – in parte sovrapponibili ed in parte difformi – crea invero il problema se, nelle more del riutilizzo, il titolare delle stesse (terre e rocce) possa valersi della disciplina più favorevole nel frattempo intervenuta, che ad esempio ne consente il reimpiego in termini più ampi (ad es. nel termine autorizzato di esecuzione dell’opera anziché nel rigido lasso temporale fissato dalla norma).
La risposta a tale quesito è di non poco conto, in quanto determina l’integrazione o meno della fattispecie di reato di cui all’art. 256, comma 2, del D.Lgs 152/2006, che sanziona il deposito incontrollato di rifiuti.
Ebbene, nodo focale dell’intera vicenda consiste nel capire l’applicabilità o meno - al caso di specie - dell’art. 2 del codice penale, che regola la successione delle norme nel tempo, prevedendone la retroattività di quelle più favorevoli.
A far luce sulla (intricata) vicenda, ci pensano i Supremi Giudici della Corte di Cassazione, che nel ribadire una opinione oramai consolidata, affermano che: “il principio di retroattività della norma favorevole, affermato dall’art. 2 c.p., comma 4, non si applica in caso di successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale che non incidano sulla struttura essenziale del reato e quindi sulla fattispecie tipica, ma comportino esclusivamente una variazione del contenuto del precetto, delineando la portata del comando e del conseguente fatto illecito” 1.
Con ciò a significare che, in tema di successione di leggi nel tempo, il principio di retroattività della norma favorevole, affermato dall’art. 2, comma quarto, cod. pen., non si applica in caso di successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale che non incidano sulla struttura essenziale del reato e quindi sulla fattispecie tipica, ma comportino esclusivamente una variazione del contenuto del precetto, delineando la portata del comando e del conseguente fatto illecito.
E quindi, dal momento che:
- la regolamentazione delle terre e rocce da scavo si caratterizza per essere una normativa extra-penale;
- l’allungamento dei tempi di deposito delle terre e rocce – ai fini di un loro successivo riutilizzo – non va ad incidere sulla struttura del reato ma unicamente sulla portata del comando (la durata dello stazionamento prima del reimpiego),
- ne consegue che, tale circostanza non determina una retroattività della norma più favorevole.
In conclusione, se il deposito delle terre e rocce da scavo si protrae oltre il termine consentito, l’intervenuta approvazione medio tempore di una norma più favorevole - che ne consente il reimpiego in termini più elastici (ad esempio legati a quelli di autorizzazione dell’opera) – non incide sull’integrazione della fattispecie di reato di cui all’art. 256, comma 2, del TUA (non trovando applicazione l’istituto della retroattività della norma più favorevole), con conseguente applicazione in capo al trasgressore:
- della pena dell’arresto da tre mesi ad un anno e dell’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro;
- ovvero della pena dell’arresto da sei mesi a due anni e dell’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se le terre e rocce contengano agenti pericolosi.