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La pratica della fertirrigazione si pone in deroga alla normativa sui rifiuti, sottraendo il deposito delle deiezioni animali alla disciplina sui rifiuti.
Pertanto, l’utilizzazione agronomica comporta l’esclusione - in deroga - dall’ambito di applicazione delle disposizioni di cui alla parte IV del D.Lgs. 152/2006, solo qualora ricorrano i presupposti di cui il Decreto Ministeriale 25 febbraio 20161. Il suddetto decreto disciplina i criteri e le norme tecniche generali per l’utilizzazione agronomica dei materiali e delle sostanze, individuati all’art. 2 (Ambito di applicazione), commi 1 e 2 del medesimo D.M. in accordo con quanto stabilito dall’art. 112 (Utilizzazione agronomica) del D.Lgs. 152/2006.
Alcuni materiali2, infatti, contendo sostanze nutritive ed ammendanti possono essere utilizzati con effetto concimante, ammendante, irriguo, fertirriguo o correttivo, sul suolo agricolo.
Affinché si entri nell’ambito della fertirrigazione occorre il verificarsi di alcune condizioni.
La giurisprudenza precisa che la pratica richiede, in primo luogo, l’esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento, nonché l’adeguatezza di quantità e qualità degli effluenti e dei tempi e modalità di distribuzione al tipo e fabbisogno delle colture e, in secondo luogo, l’assenza di dati sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione, quali, ad esempio, lo spandimento di liquami lasciati scorrere per caduta a fine ciclo vegetativo3.
Si ricorda che le attività idonee a sottrarre i rifiuti dalla relativa disciplina ordinaria in quanto integranti un’eccezione alla regola devono essere dimostrate dalla parte che vi abbia interesse4.
In conclusione, si può affermare che qualora lo spandimento abbia luogo si di un terreno incolto non possa parlarsi di utilità agronomica e quindi non si possa invocare la fertirrigazione.