Secondo la nuova normativa in materia di discariche, gli impianti di discarica possono già imporre un divieto di conferimento dei rifiuti recuperabili?

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Il D.Lgs. 121/2021, in applicazione delle direttive del noto pacchetto economia circolare, ha riformato sotto diversi profili la normativa in materia di discariche contenuta nel D. Lgs. 36/2003.

Tra le altre cose, la normativa europea ha previsto per gli Stati membri, l’obbligo di vietare entro il 2030 il conferimento in discarica dei rifiuti recuperabili che è stato inserito agli artt. 5, co. 4-bis e 6, co. 1 del D. Lgs. 36/2003.

Tale novella è tuttavia foriera di alcune questioni problematiche, riconducibili al difetto di coordinamento tra le menzionate disposizioni, le quali sembrano dettare una disciplina antitetica per il medesimo fenomeno.

Più in particolare, infatti:

l’art. 5, co. 4-bis stabilisce che “a partire dal 2030 è vietato lo smaltimento in discarica di tutti i rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo, in particolare i rifiuti urbani, ad eccezione dei rifiuti per i quali il collocamento in discarica produca il miglior risultato ambientale”.

l’art. 6, co. 1, per contro, sancisce che “è vietato lo smaltimento in discarica dei rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo”, senza che vi sia qualsivoglia riferimento al 2030 quale data a partire dalla quale detto obbligo sarà operativo.

Pertanto, occorre chiedersi se il divieto di conferimento in discarica dei rifiuti lato sensu recuperabili sia rinviato al 2030 (art. 5, co. 4-bis d.lgs. 36/2003) o sia operativo sin dall’entrata in vigore del d.lgs. 121/2020 (art. 6 d.lgs. 36/2020)?

Invero, a sostegno dell’insussistenza, ad oggi, di un divieto di far confluire in discarica tutti i rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero sembrano portare alcuni elementi espressamente indicati nell’art. 5 posto che lo stesso prevede:

il divieto di smaltimento in discarica dei rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero, salvo quelli “per i quali il collocamento in discarica produca il miglior risultato ambientale”, la cui individuazione è rimessa ad un decreto del Ministero dell’Ambiente allo stato non emanato;

che le Regioni debbano conformare la propria pianificazione regionale di cui all’art. 199 d.lgs. 152/2006 (id est: i Piani di gestione dei rifiuti) “al fine di garantire il raggiungimento di tale obiettivo”, ossia l’obiettivo di vietare lo smaltimento in discarica a partire dal 2030.

che le Regioni debbano “modificare tempestivamente gli atti autorizzativi che consentono lo smaltimento in discarica dei rifiuti non ammessi”.

A sostegno di una “riduzione” della portata dell’art. 6 D. Lgs. 36/2003 depone anche una interpretazione sistematica dello stesso. È infatti verosimile ritenere che l’incipit dell’art. 6 (“è vietato lo smaltimento in discarica dei rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo”) miri semplicemente a ribadire quanto già prescritto dall’art. 5, co. 4-bis, per poi precisare che “comunque” non sono smaltibili in discarica nemmeno i rifiuti di cui all’art. 6 (nonché quelli che non rispettino i criteri di ammissibilità di cui agli artt. 7 ss.).

In conclusione, il divieto di conferire in discarica i rifiuti recuperabili deve essere opportunamente coordinato con il necessario adeguamento impiantistico sul territorio regionale da realizzare con adeguamento del PRGR; la modifica dei titoli abilitativi degli impianti; l’adozione del decreto da parte del Ministero dell’ambiente circa i rifiuti per cui il collocamento in discarica produca il miglior risultato ambientale.

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