di Greta Catini
Come ormai noto, il D. Lgs. 231 del 2001 prevede la configurazione della responsabilità amministrativa dell’ente solo in relazione a determinati reati, c.d. “reati presupposto”, che sono tassativamente previsti all’interno dello stesso.
Ad oggi, tuttavia, si assiste ancora alla instaurazione di procedimenti 231 in cui, tramite una interpretazione analogica, vengono contestate agli enti fattispecie criminose che non rientrano nel novero dei reati 231.
Ne è una dimostrazione il caso che è stato affrontato di recente dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 2234 del 20 gennaio 2022 in cui gli Ermellini si sono trovati a valutare la responsabilità di una Società per un reato ambientale, ovvero l’art. 6 lett. a) e d.) n. 2 del D. Legge n. 172 del 2008 relativo alla gestione non autorizzata di rifiuti in territori dichiarati ad elevato rischio ambientale, non rientrante nei reati presupposto di cui all’art. 25-undecies del decreto 231.
La sentenza, pertanto, offre lo spunto per approfondire un aspetto della disciplina 231 che, sebbene noto, risulta ancora controverso, ovvero il principio della tassatività dei reati 231.
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