di Giulia Ursino
Ritorna alla ribalta dell’attenzione mediatica, il fenomeno “plastic free”, anche sull’onda della recentissima direttiva n. 2019/904/UE.
Al via dunque la messa al bando di determinati prodotti in plastica (come le cannucce e le posate), la riduzione della produzione e del consumo di quei prodotti che non si è potuto vietare e l’imposizione di specifici requisiti tecnici e di etichettatura per i medesimi oggetti in plastica.
Tuttavia, sebbene la direttiva plastiche abbia l’indubbio pregio di aver posto un freno all’abbandono indiscriminato dei rifiuti – soprattutto nell’ambiente marino – non si può non chiedersi se il problema non è per lo più culturale. E quindi se poteva essere risolto alla radice, con una massiccia campagna di sensibilizzazione e educazione dei cittadini e con la progettazione di un adeguato “parco impiantistico” per gestire il conferimento del rifiuto (anche plastico) differenziato.
In sostanza: il problema è il materiale plastico in sé o l’uso che ne è stato fatto?
Ai posteri l’ardua sentenza.
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