di Giovanna Galassi
La Tarsu è il tributo che, pur non commisurato alla quantità di rifiuti effettivamente prodotti, è sopravvissuto al vaglio della Corte Ue al cospetto di un “chi inquina paga” flessibile. È una tassa e si nega, logicamente, un collegamento con il servizio effettivamente svolto. Più prosaicamente: si paga anche quando non si usufruisce del servizio di raccolta dei rifiuti. A fronte di un certo disservizio, tuttavia, si riconosce il diritto alla riduzione, onde ripristinare un equilibrio impositivo tra l’ammontare della tassa (che comunque va pretesa) e i costi generali del servizio municipale. Nell’eterno gioco delle parti, l’amministrazione comunale obietta che il disservizio è imprevedibile e non ha colpa, ma per una volta il contribuente, sommerso dai sacchetti della spazzatura, ne esce trionfante e in assenza di agevole e ordinaria fruizione può consolarsi con lo sconto, qualora provi che la disfunzione lo abbia interessato direttamente. Le critiche non mancano, ma forse la Cassazioneha ragione.
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